recensioni foglianti

Satana a Goraj

Edoardo Rialti

Isaac Bashevis Singer
Adelphi, 182 pp., 18 euro

Nella tradizione rabbinica, le buone azioni degli uomini sono scintille della luce primigenia della creazione, quella che precede la fondazione stessa del sole e della luna, e compierle vuol dire ricomporre tale splendore originario, affrettando così anche la venuta del Messia. Ma se, anziché fare del mondo un immenso candelabro, fosse necessario gettarsi a capofitto nelle tenebre, nella sozzura, nel peccato? Fu questa la risposta che parte del mondo ebraico diede alla scandalosa condotta di Shabbatai Zevi, che nel Diciassettesimo secolo fu acclamato Messia in tutta Europa, e la cui conversione all’islam suscitò in chi si ostinava a credergli “un’abissale dottrina dell’apostasia del Messia, per il disperato bisogno di spiegare ancora una volta la salvezza non venuta” (Sergio Quinzio). Questo sogno crudelmente infranto costituisce la cornice e l’orizzonte immaginativo del primo romanzo del Nobel Isaac Singer, che ha la velocità d’una satira volterriana e le cadenze sapienziali dei racconti chassidici di Buber. Negli anni che seguono alle crudeli persecuzioni antisemite in Polonia, l’estasi febbrile e le cocenti delusioni della vicenda di Zevi si ripercuotono nelle vite degli abitanti della cittadina di Goraj, narrate con i colori accesi delle fiabe (guance rosse come mele, calore di stufe e vesti di seta, sfarzo e miseria), un’irripetibile commistione di dolore e ironia, che non si può pretendere di scomporre senza guastare (“il suo naso, ricurvo come un corno d’ariete, era rosso per il freddo e il timor di Dio”). Una vicenda corale percorsa da dialogo costante ed elusivo tra il mondo umano e la natura, che pare vibrare delle stesse attese, gioie trepidanti, turbamenti senza risposte. Come ogni racconto profondo, lo si può leggere a vari livelli e secondo diverse prospettive, anche perché, secondo lo stesso Singer, la lingua e la cultura yiddish ambiscono proprio a essere un retaggio comune, e un microcosmo di dinamiche universali: l’analisi di ogni reazione isterica, che abbisogna sempre d’un linguaggio mitico, alla violenza del mondo e della storia, un contrasto tra il dolente pazientare della fedeltà alla tradizione, anche nei momenti insensati e umilianti, e l’idolatria di qualunque utopia escatologica, il groviglio che si annida nelle nostre pulsioni in lotta tra loro, dove spesso ciò che ci affrettiamo a incasellare come diabolico non è che il negativo fotografico di ciò che abbiamo approvato e addomesticato. Anche qui, il campo di battaglia saranno il corpo e la mente di una donna. Nel discorso di accettazione del Nobel Singer affermò che “il pessimismo della persona creativa non è decadenza ma una passione potente per la redenzione dell’uomo”. La prodigiosa ambiguità di questa narrazione esprime proprio il coraggio di chi riesce a fissare la disperazione che precede e segue ogni speranza di rinnovamento, e scoprire che è molto difficile, e forse persino inutile, distinguere tra re Davide o Satana che danzano per la strada. 

 

SATANA A GORAJ
Isaac Bashevis Singer
Adelphi, 182 pp., 18 euro

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