recensioni foglianti

De cive

Maurizio Schoepflin

Thomas Hobbes
Aragno, 338 pp., 20 euro

Riguardo alla sua nascita, avvenuta nel 1588, il celebre filosofo inglese Thomas Hobbes sosteneva che, insieme a lui, sua madre aveva partorito la paura, la sorella gemella con la quale egli avrebbe convissuto sino alla morte, che lo colse nel 1679. Pur volendo lasciare da parte inutili interpretazioni psicoanalitiche che male si adeguano a una seria interpretazione delle diverse teorie filosofiche, non sembra azzardato affermare che questa paura traspare costantemente dalle opere hobbesiane, soprattutto da quelle politiche, che vengono unanimemente considerate veri e propri capolavori e fanno del filosofo britannico uno dei maggiori pensatori politici di tutti i tempi. Una conferma di quanto si è detto ci proviene anche dalla lettura del De cive, pubblicato anonimo a Parigi nel 1642, il cui titolo completo è Elementorum philosophiae, sectio tertia: De cive (Elementi di filosofia, sezione terza: Del cittadino). L’opera ebbe la sua redazione definitiva nel 1647 e, intitolata Pilosophical Rudiments Concerning Governement and Society, fu edita in lingua inglese a Londra nel 1651. E sempre dal De cive ci giunge una chiara indicazione in merito a chi o a che cosa rappresentasse la causa della suddetta paura hobbesiana: ebbene, il nostro autore temeva fortemente gli uomini perché li considerava alla stregua di belve rapaci. Celeberrima è rimasta la massima homo homini lupus, risalente al commediografo latino Plauto, che egli fece sua e che compare già nella Epistola dedicatoria premessa al testo del De cive: con tale espressione Hobbes sintetizza la propria visione dell’uomo, il quale, ai suoi occhi, lungi dall’essere, come riteneva Aristotele, un’animale sociale per natura, si presenta caratterizzato da un innato egoismo che lo spinge inesorabilmente a desiderare di possedere sempre di più, disinteressandosi dei diritti altrui. Per tale motivo, a parere di Hobbes, in mancanza di regole ferree, la vita associata degli uomini si trasforma in una continua guerra di tutti contro tutti, generatrice di quella paura di cui si è detto e derivante dalla naturale inclinazione che ciascuno ha di sfuggire a ogni costo alla morte violenta. A questo punto, a giudizio del Nostro, entra in gioco la ragione, che rende consapevole l’uomo della necessità di dar vita a una società basata su regole estremamente severe, allo scopo di mettere fine al conflitto che genera timore e morte. Per ottenere questo, gli individui si associano e, mediante un contratto, danno origine a una comunità politica, la quale si regge sul fatto che tutto il potere viene trasferito nelle mani di un solo supremo reggitore. In ciò gli studiosi ravvisano il fondamento dell’assolutismo moderno, di cui Hobbes viene considerato il padre. In effetti, il sovrano hobbesiano non ha vincoli, è absolutus, cioè totalmente libero: a lui spetta il compito di evitare che gli uomini si distruggano a causa della guerra di tutti contro tutti, ed egli otterrà tale risultato disponendo di un potere pressoché illimitato che i sudditi stessi gli riconoscono.

 

DE CIVE
Thomas Hobbes
Aragno, 338 pp., 20 euro

Di più su questi argomenti: