
recensioni foglianti
L'uomo di gesso
C. J. Tudor
Rizzoli, 347 pp., 20 euro
Se siete stati ragazzini o genitori di ragazzini negli anni Novanta, questo romanzo vi risulterà familiare. C’è la piccola cittadina inglese (ma pure tanto americana) circondata da un grande bosco; c’è il bullo un po’ psicopatico che finisce male; la banda di amici maschi più una femmina che si amano come fratelli e in bici fanno e capiscono tutto, pure quello che realizzeranno solo trent’anni più tardi; ci sono i genitori sporchi e pigri e quelli di talento ed eroici; le voci grette della gente; la chiesa che pecca; i bambini che si salvano e quelli che no; i feticci che hanno reso “It” rito di passaggio e gli anni Ottanta il decennio migliore – più avventuroso, più spaventoso, Oscar all’equilibrio generazionale – in cui essere bambini. E, naturalmente, a muovere tutte queste cose ci sono i delitti che hanno a che fare più con l’incubo e la coscienza e il farsi della morale, che con la violenza. C. J. Tudor ha ambientato il libro un po’ nel 1986 e un po’ nel 2016 e l’aria familiare l’ha resa non solo grazie ai topoi, ma pure scrivendo con la voce di un bambino, perché il punto di questo lavoro non è scoprire l’assassino e tenerci incollati alla poltrona per 350 pagine, ricalcando l’infanzia di tutti – o almeno non solo –, ma dimostrarci che “essere adulti non è che un’illusione: nessuno cresce mai. Diventiamo semplicemente più alti e aumentano i peli, ma siamo ancora bambini, tutti quanti”. Non c’entra il processo di bambinizzazione (“e speriamo non di rimbambimento”, come scrisse Michele Serra), quanto piuttosto il fatto che con la verità e la sua ricerca, i bambini hanno una dimestichezza naturale, perché non pongono limiti alle possibilità, vedono quello che noi neppure accettiamo: “L’unica cosa che un dodicenne vuole scoprire più di un cadavere, è un’astronave”. J. C. Tudor, prima di mettersi a scrivere, ha fatto la doppiatrice, la cameriera, la reporter, l’autrice radiofonica. Ha smesso di studiare a sedici anni. Hanno detto in molti che il suo è uno dei thriller migliori degli ultimi anni e quando gli esperti di genere dicono cose da esperti di genere, lo sapete, sono insopportabili ma difficilmente in torto. Breve sinossi: Eddie, figlio di dottoressa non obiettore (le mandano di tutto: feti di maiale, bigliettini con scritto “sei una ammazza-bambini”, mattoni contro le finestre) e scrittore non proprio Pulitzer ma buonissimo, sempre in ciabatte e t-shirt dei Grateful Dead, amico di Gav La Palla e Michey e Hoppo e Nicky, scopre, trent’anni dopo i fatti, come mai Sean il bullo era finito con l’annegare e una ragazza bellissima era finita fatta a pezzi nel bosco e il prete era finito picchiato e ridotto in sedia a rotelle. Lo fa tornando bambino e accorgendosi che c’è solo un modo per essere adulti: non seppellire la coscienziosità, la curiosità e l’attenzione che si hanno da piccoli. Lo fa, soprattutto, ricordandosi sempre di suo padre, che gli cucinava i biscotti e gli spiegava tutti i No e gli diceva che non bisogna mai fare supposizioni, “perché le cose vere vanno da una parte, e le supposte, invece…”. Dubbio sì, supposizioni no.
L'UOMO DI GESSO
C. J. Tudor
Rizzoli, 347 pp., 20 euro

Una fogliata di libri
Un po' di ordine sul genere del saggio, romanzo d'avventure delle idee


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