Meno si legge e più si scrive. Ahinoi

Marco Archetti

Per essere classificati come lettori forti, è ormai sufficiente aver gettato un’occhiata all’etichetta di un barattolo di conserva nell’ultimo anno solare

In Italia, per essere classificati come lettori forti, è ormai sufficiente aver gettato un’occhiata all’etichetta di un barattolo di conserva nell’ultimo anno solare. Voi cosa state leggendo? Io: “Coppini arte olearia, L’albero d’argento, aziende agricole. Olive verdi Scacciata cunzata, peso netto 290 g, peso sgocciolato 200 g”. Riempito lo scaffale, fatto l’intellettuale. Intanto, su Twitter, molti account diffondono da settimane le sconfortanti percentuali degli indici di lettura paese per paese – quelli della Buchmesse di Francoforte –, percentuali che sconfortano noi che i libri grosso modo li leggiamo (compresi quelli d’intrattenimento), ma allo stesso tempo, segretamente, ci confortano, alimentando l’autorappresentazione di Giusti che stanno dalla parte Giusta, aureolati tuttavia dal fascino ostinato e contrario di chi sta con tutta evidenza anche dalla parte Sbagliata; insomma, sentiamo di aver ragione due volte, tipico sentimento da suocere. Quindi, dopo la pubblicazione dei numeri, ecco imperversare la pioggia di retweet, i commenti di indignatiòn, le attestazioni di depresiòn.

 

C’è chi accusa la scuola (tutti, come sempre), poi salta su uno e dice che si è fatta una riforma, allora di colpo la colpa è della riforma, finché un altro ribatte e rimodula, in un’irruzione ininterrotta di capri espiatori che scalzano precedenti capri espiatori, vorticosa al punto che meriterebbe un reportage a parte. C’è chi protesta contro la società (cascami di socio-moralismo con maglioncino pastello, esistono ancora) e chi vitupera il renzismo (finché esisterà un premier da sostantivare, cui attaccare la coda di un suffisso, saranno salve carriere politiche altrimenti impalpabili e carriere opinionistiche altrimenti opinabili). Chi implicitamente si chiama fuori e chi esplicitamente si dichiara dentro (dentro la percentuale dei Giusti Residuali, infatti attacca a corna basse i non lettori, queste bestie malpensanti, malparlanti, malvotanti). Chi dice che il principio di tutto è la famiglia, chi la casa, chi fraintende e dice che ormai la danno solo agli extracomunitari (rissa sullo ius soli a clavate di botta e risposta; purtroppo ora i caratteri disponibili su Twitter sono diventati il doppio, ma in realtà andavano ridotti, disse bene Giuliano Ferrara, peraltro in 103 caratteri). Chi lamenta che in Italia latitano i valori, chi va per farfalle, chi per cinghiali. Il risultato è niente, cioè il solito circo Medrano dello stracommento in cui si parla sempre di sé e di ciò che si pensa, mai di quel che c’è e di quel che si vede. Perché quel che si vede – lo dico a umile completamento dei dati che certificano la perdita di ulteriori quote di lettori – è questo: purtroppo non legge più nemmeno chi dovrebbe. Leggono poco gli insegnanti, per esempio. Leggono sempre meno i giornalisti, come non accorgersene? Leggono sempre meno gli scrittori,eppure scrivono (scriviamo) sempre di più, come se niente fosse. Confesso che a volte ne avverto il grottesco. Troia brucia e noi giochiamo tra le fiamme, incuranti dell’estinzione di massa e sfrecciando spediti come siluri, rettilinei come traiettorie stupide, seduti al centro esatto della ragione avuta e da avere, riottosi a offrire al pubblico libri che assomiglino a quelli che leggeremmo se fossimo meno moralisti e avvinghiati a un’immagine di noi che interessa in realtà solo noi, e a nostra volta in segreta, inconfessabile rivolta contro chi non legge, risentiti alla scrivania del nostro scontento come per un torto personale, ringhianti verso il cane più grosso e tuttavia convinti che, se una ragione ci sia, stia dalla nostra. Vorremmo essere più amati in quanto grandi scrittori, ma i lettori sono piccini, e in fondo a noi per primi interessa poco la lettura ma, più che altro, essere letti.

 

Forse dovremmo approdare a una visione del mondo meno vittimistica e a conclusioni più costruttive, essere più disponibili a metterci in mezzo, a rimboccarci le maniche, a dire la nostra senza preoccuparci di dover compiacere molteplici referenti (col risultato, in realtà, di isterilire il discorso pubblico, letterario e no), a prenderci qualche responsabilità, e soprattutto a riallacciare i rapporti con gli esseri umani, lettori e no. Farebbe bene a noi e alle nostre pagine, non avremmo “quest’occhio spento da calzino sporco”, come diceva Boris Vian, e saremmo meno intontiti da noi stessi e dalla nostra autorappresentazione. Ogni tanto, poi, leggo in giro aforismi incomprensibili, del genere: “Leggere è resistere”. Vorrei dire che per me no, è l’esatto contrario. Per me leggere è cedere: depongo me stesso e ascolto qualcun altro. (Ma questo, stando alle statistiche, continua a riuscir meglio alle donne).

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