Ansa

uffa!

Avvolto nella classe dei suoi colpi, Pietrangeli e la sua racchetta erano tutt'uno

Giampiero Mughini

Dalle partite infinite contro l'australiano Rod Laver fino alla vittoria della coppa Davis in Cile. Senza retorica si può dire che il tennis ce l’aveva nel sangue e che non c’era tennista al mondo cui lui fosse tecnicamente e psicologicamente subordinato

Col suo metro e settantotto di altezza, Nicola Pietrangeli era piccolino di statura se paragonato ai giganti odierni che di professione schiaffeggiano la palla da tennis (Sinner è alto 1,91). Del resto piccolino di statura è anche l’australiano Rod Laver, a mio giudizio il più grande tennista di sempre. Una volta lo vidi giocare dal vivo, era poco più alto della rete che separa i due giocatori. Eppure credo che una semifinale di Wimbledon in cui Pietrangeli fu sconfitto da Laver al quinto set sia stata una delle partite di tennis più belle mai giocate al mondo. Non sono il solo a pensarlo. Quanto ai suoi guadagni, quello che Pietrangeli guadagnava in un anno Sinner lo guadagna vincendo un torneo non particolarmente importante e senza dire degli astronomici guadagni che gli vengono dall’essere talmente presente negli spot televisivi pubblicitari, ciò che non esisteva ai tempi di Pietrangeli. E del resto ai suoi tempi il tennis non godeva in Italia della popolarità che gli ha assicurato il duo Sinner-Musetti. 

 
Pietrangeli inoltre fu un capitano della nostra squadra quando andammo a vincere la Davis in Cile, dove gli imbecilli non volevano che noi andassimo perché c’era allora della gentaglia al vertice politico di quel paese. Imbecilli tali e quali a quelli che oggi non vorrebbero che l’Italia ospitasse le squadre nazionali di Israele. Non ho mai giocato a tennis, ero troppo povero per farlo. Non per comprare la racchetta ma per frequentare uno dei pochissimi campi da tennis allora esistenti in Italia e dove c’era da pagare fior di quattrini per poterlo utilizzare. Pietrangeli mi piaceva moltissimo come atleta in uno sport individuale, l’atleta italiano che ho amato di più dopo Fausto Coppi. Era come avvolto nella classe dei suoi colpi. Dopo averlo visto giocare, era orripilante vedere i tennisti che usavano il rovescio a due mani. Lo ricordo all’uscita di una cena in casa di Marina e Carlo Ripa di Meana. Rimanemmo in piedi a discutere a lungo. Glieli leggevo in faccia i suoi rimpianti, su tutti quello di avere sbagliato epoca nell’eccellere. Non solo era stato il numero tre nella classifica mondiale dei tennisti, era stato anche un asso nel doppio. In combutta con Orlando Sirola è stato dieci volte campione italiano di doppio. Di lui si può dire senza tema di fare della retorica che il tennis ce l’aveva nel sangue, che lui e la sua racchetta erano tutt’uno, che non c’era tennista al mondo cui lui fosse tecnicamente e psicologicamente subordinato. Con Laver perdeva, ma dopo avere giocato alla morte. Pur di vederlo giocare, una volta entrai a costo di svegliarlo nella camera del nonno dov’era il televisore e dove Pietrangeli stava giocando la finale del torneo internazionale di Roma, finale che purtroppo perdette contro un temibile australiano. Più di sessant’anni fa.
Credo che gli ultimi anni della sua vita siano stati dolorosi, a partire dalla rottura sentimentale con una donna che aveva amato.

 

Fu un leone quando si trattò di capeggiare la squadra italiana in quel Cile dove comandavano i delinquenti che si erano sbarazzati con la forza di Salvador Allende. Solo che la politica è una cosa e lo sport tutt’altra. La politica separa la gente e i popoli, lo sport li mette in rapporto. Vinca il migliore. E Nicola lo è stato in modo assoluto, fra i migliori e i più vincenti. Quanto l’ho amato.

Di più su questi argomenti: