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Uffa!

La delicatezza e l'ironia di Miriam Mafai, che era comunista e anche molto altro

Giampiero Mughini

Alla sua figura Annalisa Cuzzocrea ha dedicato il volume E non scappare mai. La giornalista ricorda ne ricorda l'intelligenza, l'empatia, la totale estraneità al settarismo e alla presunzione. E il matrimonio con Giancarlo Pajetta

Ventenni e trentenni che frequentavamo le redazioni dei giornali, tanti di noi mezzo secolo fa erano immersi anima e corpo nella “gente” comunista come se quella fosse una tribù a sé. Una tribù in cui spiccavano alcuni personaggi nei quali era impossibile non imbattersi e di cui avvertire il particolare fascino. La giornalista Miriam Mafai, figlia di due figure di spicco della cultura romana tra le due guerre, era uno di questi già per la famiglia di borghesia intellettuale da cui proveniva: Mario Mafai, uno dei pittori della cosidetta “scuola romana”, e l’artista Antonietta Raphaël.  A Miriam ha dedicato adesso un libro, E non scappare mai (Rizzoli), una giornalista di punta fra quelle che si occupano dell’attualità politica, Annalisa Cuzzocrea.


Non ricordo quando esattamente incontrai per la prima volta Miriam, una che quando ti guardava non te lo faceva pesare che tu non fossi comunista e che per questo era molto amata e rispettata negli ambienti di cui ho detto. Quando ti guardava, ha scritto la Cuzzocrea, non era per giudicarti ma per capire più a fondo chi tu fossi. Il suo era uno sguardo in cui si frammischiava la delicatezza, l’intelligenza, l’ironia. E non che questa fosse all’ultimo posto. Lei era una comunista ed era altro. Il settarismo, il senso di superiorità nei confronti di chi la pensa diversamente le erano perfettamente estranei. Non a caso Eugenio Scalfari la volle con sé fin dal primo giorno di vita di Repubblica.


Una sera e per motivi professionali ero a cena nella casa romana di Monteverde dove lei viveva con il suo compagno Giancarlo Pajetta, nome di battaglia nella Resistenza “Nullo”. Erano momenti in cui i rapporti fra i socialisti e i comunisti italiani erano a dir poco tesi e a un certo punto della conversazione “Nullo” si diede a inveire contro i socialisti di cui sapeva che io fossi amico. Da quanto mi facevano simpatia Pajetta e la sua elettricità, a me quei toni aspri non fecero né caldo né freddo. E tuttavia non mi sfuggì la grazia con cui Miriam appoggiò il suo braccio su quello di Pajetta come a farlo chetare, cosa in cui riuscì perfettamente. Pajetta era nato a Torino nel 1911, Miriam a Firenze nel 1926. Non era il suo primo marito e bensì il terzo. La Cuzzocrea svela nel suo libro che Miriam ebbe un suo primo marito che si suicidò dopo un anno di matrimonio lasciando scritto su un bigliettino “A Miriam, così impara”. Quando Giancarlo morì nel 1990, subito telefonai a Miriam a dirle il mio cordoglio. Dalla sua voce al telefono traluceva gratitudine per quel mio gesto così semplice. Credo che si fossero dati tanto negli anni del loro matrimonio, credo che l’elettricità di Giancarlo si fosse fusa a meraviglia con il garbo di Miriam. Con la sua dolcezza stavo per dire, ma sarebbe una parola banale.


La Cuzzocrea scrive che lo sguardo di Miriam era lo sguardo non di una che ti stava giudicando e bensì di una che stava cercando di capire il massimo di te. E’ in ragione di personaggi come lei che l’italocomunismo si differenzia e primeggia su ogni altro tipo di variante comunista a noi nota. E’ in ragione di personaggi come lei che il partito comunista sia stato così addentro alla storia italiana, lo sia stato con una tale naturalezza. Starei per dire senza che nessuno si facesse male, o comunque se ne facesse la minor quantità possibile. Parlo per sommi capi, ovviamente.


In uno dei cassetti di casa sua la Cuzzocrea ha scovato un quadernetto su cui per un paio d’anni Miriam ha scritto annotazioni e pensieri su quanto andava succedendo nella sua vita. Finché Giancarlo non la rimproverò alla maniera sua obiettandole che i giornalisti non tengono diari. Dopo la morte di “Nullo”, Miriam quel taccuino lo riprese in mano. Scrive la Cuzzocrea: “Riprese quel taccuino nel 1990 dopo la morte di colui che considerava il compagno della sua vita. Erano passati anni, era caduto il muro, era finito il Pci. Di tutto questo Miriam scrisse nei suoi articoli, nelle sue cronache e nei suoi libri, senza mai interrogarsi su quello che capitava dentro di lei”.

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