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Uffa!

Che gran romanzo è la vita di Daniel Filipacchi, il "Citizen Kane francese"

Giampiero Mughini

Un personaggio onnipresente nella scena editoriale francese del Dopoguerra. Amava la vita, il nuovo e il moderno, il jazz, i film, il surrealismo. Non c'è una riga di superfluo nella sua autobiografia

Temo che Daniel Filipacchi (nato nel 1928, oggi novantatreenne), un personaggio onnipresente nella scena editoriale e massmediatica francese del secondo Dopoguerra – qualcuno lo ha definito il “Citizen Kane” francese –, non sia molto noto al lettore medio italiano. E dunque devo scusarmene con il direttore di questo nostro giornale, se Filipacchi fa da eroe del mio pezzullo del martedì. Nel cumulo di libri che a casa mia “attendono” di essere letti  avevo da tempo il suo Ceci n’est pas une autobiographie, da lui scritto nel 2011 perché s’era fatto male a una gamba e doveva perciò stare a riposo. Era un libro di quelli che temo, ben 432 pagine, convinto come sono che a scorciare un libro ci si guadagna sempre. Solo che nello scrivere quel gran romanzo che è stata la sua vita, Filipacchi non ci ha messo una riga di superfluo. E’ un libro tutto fatti, persone incontrate e che razza di persone (da John Fitzgerald Kennedy a Salvador Dalì), musicisti jazz i più grandi della storia tutti ascoltati dal vivo, libri rarissimi scovati dai librai antiquari, giornali inventati dal nulla e che hanno fatto data, milioni guadagnati a palate da quanto era alto il rischio d’impresa, vedettes femminili frequentate come se piovesse, 200 voli aerei tra Parigi e l’America festeggiati sul Concorde. E su tutto il tocco narrativo di Filipacchi che è sempre originale, il tocco di uno che non è mai stato sfiorato da nessuno degli “ismi” in voga nel Novecento, di cui anzi se ne strafotte bellamente.

 

Già la sua famiglia francese d’origine non era di quelle che se ne incontrano a ogni angolo di strada. Il padre, un alto dirigente della casa editrice Hachette, aveva inventato in Francia il “Livre de poche”. Due suoi zii erano morti fucilati, l’uno fucilato dai tedeschi perché partigiano, l’altro – il famoso giornalista germanofilo Jean Luchaire – fucilato nel Dopoguerra perché “collaborazionista”. Filipacchi racconta che innanzi al plotone di esecuzione (francese) Luchaire si tolse l’impermeabile dicendo: “E’ un peccato rovinarlo. Datelo a mio figlio”. 

 

Di diplomarsi, Filipacchi figlio non ebbe nessuna voglia. A scuola era bravo in francese, il resto gliene importava meno che niente. Amava la vita, tutto ciò che era nuovo e moderno, i dischi jazz, i film, i quadri surrealisti. Per oltre settant’anni è riuscito a vedere un film al giorno, “Citizen Kane” di Orson Welles lo aveva visto una trentina di volte. Durante l’occupazione nazi, una volta che nella primavera del 1943 Filipacchi era andato in una  piscina vicina al ponte della Concorde, fece amicizia con un ragazzone bruno di nome Walter che aveva letto un libro di Simenon che lui non conosceva e che aveva l’aria di intendersene mica male di jazz. All’uscita della piscina si avvide che Walter indossava la divisa da ufficiale tedesco. Era un tedesco che da bambino era stato a scuola di francese, non che fosse un nazista. Finito il tempo della piscina continuarono a vedersi. Finché Walter non gli disse che si aspettava da un momento all’altro di essere scaraventato su un qualche fronte e che perciò voleva lasciargli la gran quantità di libri e dischi accumulati a Parigi. Nel Dopoguerra una ragazza tedesca che Filipacchi aveva conosciuto assieme a Walter gli telefonò dicendogli che il loro amico era morto a rue de Rivoli, trascinato per i piedi da una 11CV Citroën della Resistenza. Altri particolari non ne aggiunse. Non che Filipacchi abbia una grande opinione sui pochi giorni che durò la Resistenza parigina in armi nell’agosto 1944, la chiama “una dolorosa farsa”. I tedeschi sconfitti se la stavano filando alla stessa velocità con cui i francesi si ritirarono nel giugno 1940 di fronte all’offensiva nazi, non c’era ragione di disturbare la loro fuga.

 

Nel Dopoguerra Filipacchi cominciò da fotografo nel Paris Match che Jean Prouvost aveva fondato nel 1949, una carriera da paparazzo che non tenne mai in gran conto. Laddove fu letteralmente esplosiva la trasmissione radio musicale centrata sulla musica rock che lui aveva preso a condurre nei primissimi anni Sessanta dal titolo “Salut les copains” da cui germinò una rivista che arrivò a vendere un milione di copie. Nel 1964 Filipacchi acquisì la maggioranza della più celebre rivista di cultura cinematografica francese, Cahiers du cinéma. Quando Jean-Luc Godard e i suoi compari presero di gran lena la china maoista, Filipacchi se ne andò. Gli “ismi” non erano pane per i suoi denti. Da un giornale all’altro, nel 1963 Flilipacchi fondò il mensile Lui per poi diventare il gerente delle edizioni francesi di Playboy e di Penthouse. Dove c’era un pubblico possibile cui vendere un prodotto inedito, lì lui si muoveva e di solito ce l’azzeccava. Era rabdomantico nel capire prima degli altri gli orientamenti del pubblico pagante. Che altro è se non questo il mestiere di vendere giornali e dunque remunerare chi li inventa e chi ci lavora? 

 

Di pari passo a quella di un imprenditore che fa i suoi conti e che opera nei settori dove quei conti sono in attivo, Filipacchi compie un percorso da collezionista di arte moderna che lo fa diventare uno dei collezionisti più importanti al mondo. Non so se ci sia mai stato un giorno della sua vita in cui lui non abbia fatto una capatina in una galleria d’arte a scovare un qualche pittore surrealista di cui comprare i quadri. La sua eccezionale collezione di pittura surrealista ebbe l’onore nel 1999 di una mostra nientemeno che al Guggenheim di New York. Nel 2005 Filipacchi ha messo in asta la sua altrettanto eccezionale collezione di libri centrati sul surrealismo, due tornate d’asta alla fine delle quali quei libri toccarono una quotazione complessiva di oltre dieci milioni di euro. Nella sua autobiografia è toccante il racconto di quanto spasimo e ostinazione ci avesse messo nel riuscire ad accaparrarsi ognuno di quei libri.
 

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