Screenshot da YouTube (account Ivo's viewpoint)

Terrazzo 

Quel pasticciaccio brutto del cutuliscio

Jacopo Costanzo

Pur essendo un’icona fuori scala, che avrebbe potuto immaginare Oldenburg, il sasso codifica un sistema simbolico di segni, profondamente connesso al paesaggio che lo circonda. Non avendo un linguaggio facilmente comprensibile ai più l'opera di Leone rimbalza nel chiacchiericcio in modo asimmetrico

"Era straordinario quel lavoro, era veramente bellissimo. Questo gigantesco sasso sulla riva”. Così racconta al Foglio Maria Giuseppina Grasso Cannizzo, l’architetto siciliano più rilevante nel panorama nazionale. “Un enorme masso nero deposto sulla riva del mare che rivela, accostandoti, la sua vera natura: un guscio che cela al suo interno una cavità che ospita la vita”. Conosciuto dai catanesi come cutuliscio, per la sua forma che ricorda un ciottolo levigato dal mare, è l’ombelico culturale della città. Quegli stessi ciottoli, i cutilisci sputati dall’Etna e levigati dal mare, che Giacomo Leone, architetto dell’opera, andava cercando di domenica, accompagnato dai figli, lungo la battigia catanese, per ritrovare la forma esatta, quella da tramutare poi in architettura.

 

A una settimana dal suo incendio l’auditorium del polo fieristico continua a far parlare di sé. Come il Petruzzelli di Bari o la Fenice di Venezia, altri avamposti andati a fuoco, l’opera viene ora processata per comprendere le possibili strategie di ricostruzione e restituzione alla città. Senza tralasciare un aspetto importante.

 

Non essendo un’architettura in stile, neoclassica diremmo, non avendo una postura accomodante, un linguaggio facilmente comprensibile ai più, l’opera di Leone rimbalza nel chiacchiericcio in modo asimmetrico. Per gli addetti ai lavori non vi è dubbio alcuno, si proceda con un ripristino dov’era com’era. E su questo fa ben sperare anche l’appurata integrità della sala secondaria dell’auditorium, quella compresa all’interno del guscio basamentale in calcestruzzo armato. Poi vi sono tanti commenti confusi, disillusi, perplessi di una grande parte di cittadini, non sempre consapevoli del valore intrinseco di questa architettura, i quali lungo i decenni, l’inaugurazione risale ai primi anni novanta, non sono stati messi in condizione di stabilire un dialogo diretto, un riconoscimento reciproco, con questo progetto visionario.

 

Nello specifico, la collocazione del sasso, defilata rispetto alla trama urbana centrale, non ha supportato questa conversazione con la città. Custodito come un segreto, Leone, che lavora sul progetto almeno per quindici anni, elabora una soluzione in anticipo sui tempi. Pur essendo un’icona fuori scala, che avrebbe potuto immaginare Oldenburg, il sasso codifica un sistema simbolico di segni, profondamente connesso al paesaggio che lo circonda. Non è un caso siano le ricognizioni aeree, eventualmente dal mare, a inquadrare compiutamente l’edificio. Tra tutte, il lavoro fotografico di Olivo Barbieri (pubblicato con Silvana Editoriale nel 2005) celebra l’auditorium collocandolo in copertina, attraverso uno dei suoi inconfondibili scatti dall’elicottero. Come se fosse il legame tra l’Etna sullo sfondo e lo Jonio dinnanzi a custodire il significato più intimo del progetto.

 

Diventa oggi non trascurabile avvicinare le distanze tra i molteplici punti di vista che animano la discussione sul futuro di questo patrimonio architettonico contemporaneo. Anche attraverso dei mediatori culturali non per forza interni alla disciplina architettonica, come appunto fotografi, curatori, scrittori, che siano in grado di restituire la complessità dell’opera, di renderne più intelligibile il valore civico. “Non tutto può durare per sempre. Ma istintivamente ti dico ricostruiamolo. Mi sembra possibile e auspicabile” afferma Grasso Cannizzo. Accettare lo stato attuale, questo enorme cratere, sarebbe una sconfitta per tutti, architetti e non.

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