
Palazzo dell’agricoltura di Ignazio Gardella (foto archiviostorico.fondazionefiera.it – Publifoto)
terrazzo
Serviva il salva Gardella
Demolito a Milano il padiglione del grande architetto
Vent’anni or sono Marco Belpoliti in Crolli (Einaudi 2005) stilava un bilancio intellettuale dell’ultimo decennio del secolo scorso stretto fra i crolli del muro di Berlino e delle torri gemelle. Più modestamente ora fioriscono i bilanci del cosiddetto modello Milano, stretto fra il crollo più simbolico e imprevisto dell’insegna Generali del 1 luglio e quello più materiale e programmato del Palazzo dell’agricoltura di Ignazio Gardella di qualche giorno fa. Mentre infuria ancora la bufera giudiziaria sull’urbanistica, questo poco noto edificio del 1961 era uno degli ultimi della Fiera campionaria che si è svolta nell’attuale area di CityLife fino al 1990 – oggi spostatasi a Rho – e non era ancora sottoposto al vincolo della Soprintendenza, ma era pur sempre un Gardella.
Il palazzo era stato costruito nel 1961, otto anni dopo cioè l’inaugurazione del PAC Padiglione d’arte contemporanea e tre dopo il Padiglione italiano alla Fiera di Bruxelles frutto di un’ammucchiata progettuale forzata con i Bpr, Adolfo De Carlo, Giuseppe Perugini e Ludovico Quaroni. Gardella era infatti anche un esperto di allestimenti come i diversi negozi e stand realizzati per Borsalino, (azienda cui era legato in maniera particolare), Saint Gobin e Olivetti, molti dei quali proprio alla Fiera campionaria per tutti gli anni ‘50. Il Palazzo dell’agricoltura lungo via Gattamelata faceva angolo confinando sul lato corto lo spazio per le scritte promozionali degli eventi, mentre il lato lungo offriva una facciata continua di vetro e ferro sormontata da una lunga fascia di mattoni klinker interrotta solo da alcuni tagli e con alcune esili listature in pietra bianca di Vicenza. La leggerezza della base contrastava con la parte superiore, ricordando così la facciata di Palazzo Ducale a Venezia, tanto che Giulio Carlo Argan ha parlato di “assurdo statico” perché sovrapponeva “ad una larga ininterrotta campitura vetrata basamentale, una levitante superficie continua, opaca ma depurata da ogni consistenza di massa”.
Come tutti i padiglioni fieristici, anche il Palazzo dell’agricoltura aveva conosciuto più di una manomissione e trasformazione sin dal 1964, quando divenne la sede della United States Trade Center che vi impiantò lì i suoi uffici e chissà quante altre ancora in seguito, ma resta il fatto che si è avuta notizia della demolizione solo a cose fatte. Si potrebbe quindi dare la colpa al capitalismo predatorio dei fondi d’investimento internazionali se non fosse che la committenza della demolizione è un’entità del tutto aliena a questa natura, romana persino: la Rai. La più grande impresa culturale italiana infatti sposterà nell’area dell’ex Fiera il suo centro di produzione, vendendo la sede storica di Gio Ponti in corso Sempione dove sono nati il Telegiornale, la Domenica sportiva, lo studio di fonolgia di Luciano Berio e Umberto Eco oltre a decine di altri programmi storici, chissà che fine farà. Non è chiaro nemmeno a chi sia stato affidato il progetto del nuovo centro di produzione a Fieramilanocity, come si chiama ora: nel 1965 lo stand della Rai proprio alla Fiera campionaria venne affidato ai fratelli Castiglioni.
Di famiglia aristocratica genovese e sempre elegantemente impeccabile in ogni sua forma di espressione, dal disegno, al modo di vestire fino alla pettinatura, Gardella è stato accostato da un suo illustre collaboratore come Aldo Rossi al coetaneo Luchino Visconti, con il quale peraltro aveva condiviso qualche anno di ginnasio al Berchet.