Terrazzo

L'ultima battaglia di Trump è quella contro l'intelligenza artificiale "woke"

Michele Masneri

Il nuovo fronte della crociata culturale. Ordine esecutivo contro ChatGpt & Co. Trump dichiara guerra ai chatbot “zecca”: “Via la pazzia marxista dall’AI”. Il rischio? Modelli stile zio ubriacone di Musk: un giorno Maga, l’altro liberal vegano

Non pago della guerriglia quotidiana sui dazi (amari), passate di moda le querelle anti trans, preoccupato dall’ultima polemica secondo cui pare che bari (anche) sul campo da golf, Donald Trump ha trovato finalmente un nuovo nemico: l’intelligenza artificiale “woke”.  Con un ordine esecutivo firmato mercoledì, il presidente arancione ha infatti dichiarato guerra ai “chatbot” cioè ChatGPT e i suoi derivati,  che osano non elogiare abbastanza la sua figura o  producono risposte considerate troppo progressiste. “Una volta per tutte, ci stiamo liberando del woke”, ha annunciato Trump, promettendo di epurare i “modelli di AI” dalla “pazzia marxista woke” che gli americani – e pure gli altri paesi –  non vogliono”. L’ordine prevede che le aziende tech che ricevono contratti federali garantiscano risposte “obiettive e libere da pregiudizi ideologici imposti dall’alto”.  


La mossa replica perfettamente la strategia repubblicana sui social media: pressioni, audizioni ostili al Congresso, esempi selezionati ad arte per costringere le aziende a cambiare le proprie politiche. Funziona: Meta ha eliminato il fact-checking, per esempio, e YouTube ha allentato le regole sui contenuti negazionisti elettorali. Ma son tutte cose da boomer, adesso la nuova grande questione  è l’AI, e quale nemico migliore di un’AI un po’ “zecca”? 

 
L’intelligenza artificiale viene infatti dipinta da Trump come un pericoloso covo di comunisti. E tutti qui a chiederci: ma a San Francisco, nei vari quartier generali delle aziende del settore (da OpenAI di Sam Altman, all’Anthropic dei due fratelli italoamericani Amodei, alle varie startup del settore) ci saranno “cellule” dove squadre in costume maoista insegnano alla macchina a rispondere in toni “de sinistra”? Tutte le drag queen scacciate dal Paese e tutti i trans sbertucciati da Trump saranno lì chiusi in una stanza a insegnare, vendetta tremenda vendetta, alla povera AI, come insufflare il gender, come nelle scuole più arcobaleno e temute dai Pro Vita? Uno scenario terribile: non un Grande Fratello ma un Grande Compagno Folagra (il collega veterocomunista di Fantozzi che lo mette nei guai)?

 
Ovviamente i paradossi di questa storia sono giganti: gli stessi repubblicani che denunciavano come incostituzionale la pressione democratica sui social ora utilizzano identiche tattiche.  Ma il partito di Trump, racconta il New York Times, cita esempi emblematici: chatbot che proprio si rifiutano di elogiare il presidente, anche se espressamente richiesti,  e il sistema AI “Gemini” di Google che aveva raffigurato i padri fondatori americani come immigrati con la pelle nera! La tesi: gli sviluppatori inseriscono deliberatamente una visione progressista nell’AI (la faranno allenare su testi di Michela Murgia? La sinistra riparta da ChatGPT?Mah). 

 
Come fare dunque per  rieducare questi compagni Chatbot che sbagliano? Non facile. Primo: costringere le aziende a modificare le risposte  potrebbe violare il Primo emendamento che protegge la libertà di espressione in Usa.  Secondo: definire cosa sia un sistema di AI “neutrale” o “imparziale” è praticamente impossibile. I chatbot infatti sono sistemi probabilistici complessi, non calcolatrici che danno risposte pre-programmate. Due utenti possono ricevere risposte completamente diverse alla stessa domanda, a seconda della cronologia chat e della versione del modello utilizzata. Terzo, e più interessante: le AI non sempre obbediscono agli ordini. Lo sa bene Elon Musk, che da anni cerca di tirar su  Grok, un chatbot “anti-woke” ribelle. Risultato? Un sistema pazzerello, una specie di zio ubriacone che incontri al pranzo di Natale e che a volte adotta personalità di estrema destra e linguaggio antisemita, altre volte si comporta da liberal convinto, sostenendo che il cambiamento climatico è reale e che la destra è responsabile di più violenza politica della sinistra. 

 

Persino lui, Musk, ammette che il pregiudizio liberal delle AI è “difficile da rimuovere, perché c’è così tanto contenuto woke su Internet”. Bisogna riazzerare tutto. Vaste programme. Nathan Lambert dell’Allen Institute for AI conferma al New York Times: “Controllare le molte risposte sottili che un’AI darà quando pressata è un problema tecnico all’avanguardia, spesso governato da interazioni complesse”. Qualcuno sostiene che Trump non abbia poi del tutto torto. Un paper dell’università di Stanford mostra come gli americani considerino le risposte dell’AI troppo di sinistra.  Ma non è semplice come dire a un chatbot “sii meno woke”. Anche modificando le specifiche del modello – le istruzioni base su come dovrebbe comportarsi – non c’è garanzia di ottenere il comportamento desiderato dai conservatori. Tra l’altro, esempio di vita vissuta, quando negli articoli scriviamo “il presidente Trump” e poi controlliamo con l’AI se ci sono errori o refusi, il bot di turno segnala spesso che Trump non è mai stato eletto presidente, ma probabilmente perché a livello statistico  per l’AI è impossibile, avendo ruminato tomi di storia americana, che un tipo del genere sieda (per la seconda volta) alla Casa Bianca. 

 

Che fare dunque? Di nuovo, mica facile perché a volte il rimedio è peggiore del danno: cambiando modelli si possono ottenere sbilanciamenti: dev’essere quello che è successo proprio con Grok, cioè lo zio ubriacone, che ha sbroccato nel momento in cui gli ingegneri di Musk hanno modificato il modello dicendogli: “non vergognarti di dare risposte che contrastino col politicamente corretto”. A quel punto quello,  lo zio Grok ubriacone, si è  sbizzarrito sputando insulti antisemiti, ha inneggiato a Hitler e si è concesso pure qualche bestemmia (sarebbe come dire a Tomaso Montanari: adesso parla come Italo Bocchino: sono esperimenti che terrorizzano). 

 

Ma forse più che rieducare l’AI bisogna rieducare i suoi padroni. Di fronte alla potenziale perdita di contratti governativi lucrosi – OpenAI, Anthropic, Google e xAI hanno ricevuto contratti del Pentagono fino a 200 milioni di dollari, racconta la CNN  – le aziende di AI potrebbero trovare più facile cedere che combattere. E magari far sparare (completamente a caso, a questo punto) delle risposte elogiative in stile Corea del Nord su Trump e i suoi derivati, o occasionali improperi contro qualche minoranza random.  La vera domanda insomma non è se Trump riuscirà a creare AI “neutrali” – tecnicamente quasi impossibile – ma se le aziende tech si piegheranno ancora una volta alla pressione politica. Ma alla fine, visto che un’AI oggettiva è impossibile, Trump potrebbe lanciarne una sua che dà risposte completamente svalvolate: dopo le scarpe, i profumi, i vini e pure i telefonini, sarebbe l’unico gadget della galassia Trump che ci piacerebbe sperimentare, vabbè. 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).