
Una vista dall’alto della Casa abramitica e dei musei di Saadiyat ad Abu Dhabi (foto studio Adjaye e associati)
Terrazzo
A Saadiyat, al largo di Abu Dhabi, l'isola del ventunesimo secolo
Cantieri del futuro. Un'isola per i grandi avamposti del nuovo mondo. Una casa per le tre religioni, e poi Louvre, Guggenheim, e tanti ristoranti (in costruzione)
Continuando il nostro viaggio negli Emirati, da Dubai alla capitale federale Abu Dhabi è solo un’ora e qualcosa di macchina, una lunga striscia nel deserto, tra polvere, distributori, Tesla, cantieri, sfocatezze nostalgiche tra Ghirri e Blade Runner. Ma cambia tutto. Prima di entrare in città, si prende l’uscita per l’isolotto di Saadiyat, che in arabo vuol dire felicità ma qui è soprattutto felicità culturale e architettonica. E’ un “Cultural District”, specie di Rho-Fiera delle meglio progettazioni che gli Emirati hanno impiantato per dar lustro al giovane Stato (nato nel '71).
E’, infatti, il Louvre di Abu Dhabi, aperto nel ‘17, il primo museo del ventunesimo secolo, e loro ne sono molto fieri. Per arrivarci, nei cinquanta (non è un modo di dire) gradi della calura, si passa da un parcheggio con ricariche veloci per le Tesla dei sostenitori e amici del museo. Ma si può arrivare volendo anche via mare, con un comodo servizio gommoni. E’ infatti la versione pieds dans l’eau del vero Louvre, e anche se ci troviamo in avenue Chirac (omaggio al vecchio presidente francese), sembra d’essere più a un Twiga o Billionaire. Il museo è composto da una serie di cuboni sparsi nell’acqua, bianchi, come quelli frangiflutti delle città turistiche, e con un basement che sprofonda nell’acqua tipo darsena della fondazione Vuitton sempre a Parigi. In mezzo un’enorme piazza a gradoni che affondano sempre verso il mare, ma delle guardie attentissime sgridano subito chi mette un piede in acqua.
Sopra, a coprire la piazza, gigantesca cupola a anelloni che sembrano un’autocitazione da parte del progettista Jean Nouvel del suo vecchio e leggendario Istituto del Mondo arabo, a Parigi, con i tanti occhi metallici che dovevano aprirsi e chiudersi come un obiettivo fotografico a seconda della luce (ma non ci è mai riuscito di assistere al fenomeno nonostante le numerose visite). Qui i cerchi sono piuttosto stelle, ottomila, a ricordare il cielo emiratino, e ufficialmente fissi. Sulle gradinate, rassegnati a non poter bagnarsi le estremità, tutti cercano di farsi un selfie – la vita ormai è ciò che succede mentre entriamo e usciamo dal campo fotografico altrui - e inevitabilmente fotografano anche i cantieri dietro, in una immagine favolosa di questo incessante costruire: le gru e le polveri che salgono dal nuovo Guggenheim in progress, che dovrebbe essere terminato entro l’anno, con le consuete forme svolazzanti.
Sotto la grande pagoda di Nouvel, 8.000 tonnellate e non sentirle, un albero di Penone, rinsecchito tipo quelli delle ripiantumazioni romane del Pnrr, e dentro, una mostra sui re e regine d’Africa nerissimi tra tutti questi cubi bianchi appena inaugurati ma che sembrano già un po’ vecchi (ma si sa che il bianco non sta allo sporco e poi al mare signora mia la manutenzione è micidiale). In apertura, colossale opera che richiama un po’ dove siamo: “Il funerale di Monna Lisa”, del franco-cinese Yan Pei-Ming, in cinque pannelli.
Da un lato si vede invece il mare e la città di Abu Dhabi in lontananza, capitale appunto degli Emirati Uniti, voluti molto dal padre dell'attuale presidente, Mohammed bin Zayed Al Nahyan, detto MBZ, che al genitore ha dedicato un altro colosso in via di finitura, il museo nazionale appunto Zayed, opera di Norman Foster, con grandi ali bianche che si levano nell’aere, a ricordare la passione del defunto sovrano per la falconeria (è tutto bianco sull’isola della felicità, bianchi i musei, bianche le vesti dei locali, bianche le golf car che portano in giro, anche se si preferisce un’auto chiusa con aria condizionata. Nere invece le vesti delle donne, molto più coperte che a Dubai, perché qui sono più conservatori). Colorato dovrebbe essere solo il nuovo Guggenheim.
Bianchissimo è invece il più interessante dei complessi, sull’isola delle meraviglie, la Casa Abramitica, un compound aperto nel '23 che tiene insieme una moschea, una sinagoga e una chiesa cattolica, a radunare insomma i tre grandi monoteismi. Ispirato dal documento sulla umana fraternità firmato nel 2019 da Papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar, vede immersi in lussureggianti giardini tre grandi cubi candidi, 30 metri per lato, con finiture di legno chiaro, opera dell’archistar ganese-inglese David Adjaye autore anche del (bel) National Museum of African American History and Culture (NMAAHC), detto Blacksonian, perché Smithsonian dei neri, a Washington. Archistar poi metoo-izzata, accusata di molestie, forse verrà qui a espiare.
Un “forum” collega i tre corpi, e si entra con tremendi calori e controlli di sicurezza, e tutte le guardie porelle stanno abbarbicate sotto enormi ventilatori. Una volta entrati nel grande e minimalista atrio non puoi stare un secondo senza che una gentile hostess molto coperta in nero venga a darti consigli o a chiedere che fai, insomma è tutto molto controllato. E però bello. I grandi cubi bianchi ricordano un po’ il tardo Piacentini delle cattedrali americane; nell’aria profumo non d’incenso ma da duty free, sembra un gigantesco show room Aesop. Un bel bookshop offre gadget divisi per religioni su mensole di legno, ci sono anche degli animaletti un po’ copiati da quelli di Munari, ma è tutto di un designer emiratino equo e sostenibile. Nella chiesa, dedicata a San Francesco, di nuovo molto Aesop, acquasantiera di ottone in capitellone di marmo scolpito, e confessionale di legno chiaro che pare una mini sauna finlandese.
Anche qui nel mall abramitico tra i cantieri si respira aria di futuro: non potendo più andare a Gerusalemme dove mai si troverà un posto con tre religioni al prezzo di una (oltretutto comodissimo, a parte i calori?). Uscendo dall’isolotto, si va verso Abu Dhabi e la sua corniche, chilometri e chilometri di controviali un po’ da Versilia con aiuole curatissime, e grandi ciclabili linde e deserte, del resto chi potrebbe mai affrontare l’enorme temperatura?
Nell’isola della felicità ci sono anche l’appena ainaugurato e curvaceo TeamLab Phenomena, stadio-contenitotre per “esperienze sensoriali”, e un museo di storia naturale a cuboni bianchi. E naturalmente tante ville, e ristoranti, quasi pronti, perché siam pur sempre negli Emirati e la felicità deriva dai commerci. Poco distante, in un’altra isoletta al largo di Abu Dhabi ancora più esclusiva, vive il suo esilio l’ex re Juan Carlos di Spagna, alla ricerca pure lui di un po' di felicità lontano da casa. Di fronte, con un po’ di fantasia, si può intravedere, a cavallo del Golfo, l’enorme ed inquietante Iran.

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