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Terrazzo

Il senso del sacro per gli architetti

Manuel Orazi

Mario Botta nel suo ultimo libro "Il cielo in terra" raccoglie articoli dedicati ai luoghi di culto, evidenziando l'importanza di considerare tali opere nella storia dell'architettura

Tutti i grandi maestri della architettura moderna, da Frank Lloyd Wright a Walter Gropius, erano agnostici, eppure nel manifesto della Bauhaus del 1919 campeggiava la xilografia di una cattedrale che pure resta l’archetipo di tutti i grattacieli in acciaio e vetro. Le Corbusier si spinse a teorizzare che solo un ateo fosse in grado di concepire un luogo spiritualmente ottimizzato – il convento de La Tourette e la chiesa di Ronchamp erano argomenti piuttosto convincenti a riguardo. Lo spazio sacro dunque è stato un terreno di prova per tutti i principi dell’architettura moderna, anche se rimasto troppo spesso in secondo piano. Ha dato luogo a incroci di civiltà inattesi come nel caso di progettisti ebrei (Richard Meier) che realizzano chiese, viceversa Paolo Portoghesi ha progettato (con Vittorio Gigliotti) la più grande moschea d’Europa a Roma o ancora Mario Botta ha realizzato una sinagoga Cymbalista a Tel Aviv. 

Abitante della città-Ticino che va da Lugano a Milano (da un’idea di Aurelio Galfetti), Botta è erede della tradizione dei maestri comacini che hanno girato il mondo per prestare le proprie abilità costruttive, portando con sé quel sentimento religioso comune a molti artisti e architetti provenienti da questo territorio caratterizzato dal romanico, lo stile più semplice, austero e votato alla mistica che in questa valle ha trovato uno dei suoi massimi epicentri, il romanico lombardo appunto. A questo stile asciutto eppure possente per le volumetrie si è sempre rivolto Botta come progettista, anche per questo la sua architettura si pone volontariamente (o niccianamente) come inattuale. Fresco ottantenne, Botta ha raccolto gli articoli della sua rubrica “Luce e gravità” dedicati ai luoghi di culto pubblicati su Avvenire negli ultimi anni, Il cielo in terra. Un secolo di chiese e cappelle nell’architettura moderna e  contemporanea (Scheiwiller, pp. 176, € 38 euro) che è anche il titolo di un libro di Papa Francesco. “Come ha annotato Rudolf Schwarz nella prima metà del secolo scorso, non è possibile occuparsi della storia dell’architettura senza considerare le opere dedicate agli spazi di culto, di silenzio, di meditazione, di preghiera”, annota l’autore. Il volume non è un almanacco né un atlante dei migliori edifici religiosi, bensì una raccolta del tutto personale tanto che accanto ad alcuni autori che ci saremmo aspettati di trovare come appunto Schwarz, Alvar Aalto, Gio Ponti o Corbu, sono presenti invece delle scoperte come l’argentino Nicolás Campodonico, la venezuelana Elisa Silva o lo svizzero Martino Pedrozzi. Manca invece qualche mostro sacro come Mies van der Rohe – l’unico cattolico dichiarato fra i maestri del ’900, autore solo di una piccola cappella a Chicago – mentre non possono certo mancare i professori con cui ha collaborato Botta da studente, Louis Kahn e Carlo Scarpa, guide sicure verso “lo spazio indicibile”. Come scrive Alessandra Coppa nella postfazione “per Botta, è con la definizione di uno spazio finito che al fruitore viene dato di vivere una condizione di infinito”.

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