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TERRAZZO

Contro l'uso del tricolore sui monumenti: non siamo in pizzeria

Andrea Bentivegna

C'è una data precisa in cui il led è diventato l'emblema di questo paese: il 17 marzo 2020. In quel momento esasperare il simbolo aveva senso. Poi però la situazione è sfuggita di mano

C’è una data precisa in cui il led è diventato emblema di questo paese: il 17 marzo 2020. Quel giorno si festeggiavano infatti i 159 anni dalla nascita del nostro tricolore ma, nel frattempo, eravamo appena stati travolti dal Covid. Giusto un mese prima la scoperta del paziente zero di Codogno poi, in pochi giorni la situazione precipitò fino all’11 marzo, l’inizio del lockdown. Il paese era nel panico e Palazzo Chigi interamente illuminato con il tricolore apparve come un simbolo provvidenziale a cui aggrapparsi. Grazie ai diodi ad emissioni di luce – questo il significato dell’acronimo “led” – la facciata fu trasformata in un’enorme bandiera. Non era certo il primo caso, beninteso, ma da lì in poi, su e giù per lo stivale, i tricolori presero ad illuminare praticamente tutto. A Roma in particolare la situazione è decisamente sfuggita di mano. Il Campidoglio, il Colosseo, la Consulta e ovviamente il Quirinale, ça va sans dire, ma poi anche i ministeri, comandi locali dei Carabinieri, caserme dei Vigili del Fuoco, la stazione Termini, la sede Acea e persino quella dell’Ater a lungotevere Tor di Nona. Il tricolore stava bene su tutto, nemmeno le case popolari facevano eccezione.

Forse ciò di cui avevamo bisogno allora ma non certo ciò che ci meritiamo oggi. Ovvio, la bandiera è un simbolo e, anche se qua da noi abbiamo impiegato tempo per riscoprirne il valore, adesso, complice la relativa economicità dei led, sembra essersi moltiplicata e diffusa esattamente al pari di una campagna pubblicitaria. Certo nessuno si sognerebbe mai di metterne in discussione il ruolo istituzionale eppure qualche perplessità di natura estetica sarebbe legittimo porsela. Davvero c’è bisogno di queste proiezioni sempre più grandi e luminose? Non bastano più le care e vecchie bandiere? E ancora, dobbiamo proprio usare i nostri monumenti più illustri come sfondo? Certo, si dirà, una volta spente le luci, l’edificio in questione torna al suo originario aspetto. Vero, ma nel frattempo lo spettacolo che ci tocca osservare ormai un po’ ovunque è desolante. Il riferimento estetico pare chiaramente il tipico ristorante di Little Italy in cui l’insegna tricolore ha la stessa funzione della tovaglia a quadri o dell’accompagnamento di Modugno e Carosone. Del resto anche il linguaggio assomiglia più a quello del marketing commerciale che a una sobria celebrazione dello stato. In un’epoca in cui la soglia d’attenzione delle persone va catturata durante un fugace scroll su Tik Tok, anche le istituzioni si adeguano tingendosi di tricolore – possibilmente il più grande possibile – per non passare inosservate ed essere instagrammabii.

E’ quindi sconfortante constatare che ci si indigna giustamente con chi i monumenti li imbratta – dagli attivisti di Ultima Generazione ai turisti cafoni e ignoranti – e nel frattempo si alimenta il debito pubblico per finanziare i bonus facciata ma nessuno si è ancora domandato se un palazzo del Quattrocento in verde, bianco e rosso sia un’oscenità.

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