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Terrazzo

Il salone è fuori, tra le rovine. Alcova e gli altri protagonisti della design week 2023. Una guida

Michele Masneri

Perché mai infatti rinchiudersi in Fiera infatti se si può passeggiare in città, in una città finalmente con luce e perfino sole e addirittura verde?

Il Salone è fuori, tra le rovine di Milano. Perché mai rinchiudersi in Fiera infatti se si può passeggiare in città, in una città finalmente con luce e perfino sole e addirittura verde e archeologia (industriale)? I milanesi, quelli rimasti che non hanno subaffittato casa e non sono tornati dalla mamma al paese nelle fatali week, si riversano per questo Salone 2023 di appuntamento in appuntamento, senza soluzione di continuità con ArtWeek che diventa DesignWeek che diventa qualche altra cosa... anche un po’ moda. Le settimane sono diventate due, non è più arte e non è solo design ma è quella zona intermedia di gente vestita bene con tote bag sostenibili e baseball hat e calicino in mano in tre lingue che certo non va in Fiera a vedere i pur pregevoli allestimenti  dei FormaFantasma. Si sta fuori, che è bello: tutto uno spostarsi di inaugurazione in inaugurazione, di installazione in installazione.

 

Ma soprattutto verso quello che è il vero controsalone, il salone open air, cioè Alcova. Lanciato nel 2018, il format inventato da Valentina Ciuffi (Studio Vedèt) e Joseph Grima (Space Caviar) di anno in anno si è piazzato nelle meglio rovine urbane, culminate l’anno scorso nell’ex ospedale militare di Baggio, e quest’anno nell’ex macello. Aziende di design, gallerie, designer singoli, scuole, accademie, musei, espongono tra architetture cascanti. Tra rovi e cespugli, tra un’Orticola e una visita allo Spasimo di Palermo, a naso in su, è la genialata del secolo, cioè affittare (si immagina a prezzi simbolici) le rovine urbane comunali e poi riaffittarle a prezzi non simbolici a galleristi e designer globali, spezzettate, risistemate ma non troppo, col fascino dello sgarrupo. Rudero tirato al fino, per citare l’eterna Franca Valeri. L’effetto è magnifico, tra Ruskin e Coachella, tutti che sguazzano di qua e di là tra le volte  dell’ex mattatoio in viale Molise accolti da stewart in tuta come al Franco Parenti. Oh my god, I’m so excited! Tutti vogliono esserci, con  van che scaricano gruppi di americani plaudenti, Fomo alle stelle, uffici stampa stravolti. Di domenica pomeriggio all’anteprima  nessuno vuole perdersi il cocktail tra le rovine, e guardare e guardarsi dietro gli occhiali da sole necessari.

 

Questo controsalone, diciamolo subito, può esistere solo infatti grazie al climate change; vent’anni fa tra le nebbie e le umidità chi poteva concepirlo?Anche perché si sa,  nella settimana del Salone per una strana malìa pioveva sempre. Adesso invece rotto è il sortilegio, splende il sole, e ci si abbronza anche, è come stare ai Giardini  ma senza la fatica di prendere il treno fino a Venezia. E forse l’epoca dei saloni coperti è finita per sempre (forse ricomincerà tra vent’anni quando fuori ci saranno 50 gradi e bisognerà pensare a fuggire tra le arie condizionate come a Dubai). Anche “lato” espositori, come dicono a Milano, gli industriali già provati da inflazione e guerra (metà dell’indotto del mobile brianzolo campava coi russi) forse non avran voglia di spendere centinaia di migliaia di euro per un posto in Fiera. Infatti quest’anno è su un piano solo.


Quest’anno, dunque, tutti al macello. E comunque in giro: nella città che era quella dello stare in casa e andare a letto presto, ed è diventata la città dei dehors e dello stare fuori sempre, anche rumorosamente; e il Sud muto (ma nel frattempo, a Roma e Napoli piove). Nel frattempo, tutto all’incontrario. A Roma anche a Pasqua era tutto un fuggire via dalla città, come una volta si faceva a Milano, dove invece ora si rimane.  E però, se il format del Salone tra le rovine prende piede, ci sono praterie in Italia, diciamolo. Proponiamo subito un fuori salone partendo dall’aeroporto di Lamezia Terme tra il non finito calabrese (galleristi e designer danesi impazzirebbero); e vogliamo mettere il Salento architettonicamente più fantasioso come location (pensiamo all’effetto di sedute e arredi dei più avveniristici di artisti mettiamo belgi tra il Bauhaus di Spongano, Maglie, Ceglie Messapica?). Che indotti, poi: altro che Pnrr, altro che 110. 

 

Ma bisogna vedere se attecchirebbe. Perché poi ci vuole la “messa a terra”. Questo salone-macello segue infatti la strepitosa circular economy milanese: prima occupato da disperati, ora scacciati da Alcova che “posiziona” e fa conoscere “la location”,  che non rimarrà lì nei secoli sgarrupata, ma anzi è già pronta ad essere risanata e trasformata in campus dello Ied con “social housing”. Come al solito tutti si guardano in giro, tutto si trasforma sempre in una gigantesca open house immobiliare. Se le vie intorno sembrano Downtown LA, sai che questa zona Macello pensavo peggio? (North of Macello, South of Macello...).  Il pensiero corre  al povero mattatoio romano in stato di abbandono perenne e in generale al modello alternativo di rigenerazione urbana romana (tu occupi il palazzo di un privato, poi il comune compra tutto e te lo regala. Quale sarà il modello più liberista e da vituperare? Dilemmi).
 

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A proposito del solito dissidio Milano-Roma, e sempre travolti dall’insolito fascino delle rovine più cool, l’ennesimo “frisson” di queste due settimane di fiesta mobile milanese sono le vezzoliadi a Roma, con l’apertura della grande mostra di Francesco Vezzoli “Vita dulcis. Paura e desiderio nell’impero romano” a palazzo delle Esposizioni; e li agende complicatissime, vai giù giovedì e torni su venerdì  (e poi c’è anche alla American Academy la mostra “The Poetry of Design”, la prima  dedicata alla poetessa, designer e attivista June Jordan (1936-2002). Che fare? E poi c’è il ponte... Forse il Salone si è già preso anche Roma e non ce ne siamo accorti. 
 
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Altre rovine urbane scicchissime all’Istituto Marchiondi Spagliardi, vecchio riformatorio giovanile  brutalista progettato da  Vittoriano Viganò a Baggio negli Anni Cinquanta,  che viene eccezionalmente riaperto al pubblico esponendo progetti degli studenti del Politecnico di Michele De Lucchi e Andrea Branzi. De Lucchi ha disegnato anche le grandi bandiere che verranno apposte sull’edificio, come i lenzuoli che sventolano nelle manifestazioni e nei cortei studenteschi. 
 
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E’ anche il Salone dei 40 minuti: per la prima volta eventi estesi fino a Brescia e Bergamo; “Visioni per un futuro presente. Città, ambiente, comunità” è il titolo dato alle due esposizioni inaugurate nelle due città lombarde, che raccontano la trasformazione delle due città nel tempo e nella forma. A Brescia la mostra “Bs23. Visioni per un futuro presente. Città, ambiente, comunità” nell’ex cinema Astra di via Dieci giornate racconta la città dalla sua forma di centuriazione romana, alle visioni future proposte da giovani professionisti su luoghi o edifici storici della città, come piazza del Foro, e il grattacielo Ina di piazza Vittoria (primo grattacielo d’Italia, recentemente riaperto per un’ installazione di Olympia Scarry). 
 
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Tornando a Milano, ai magazzini Raccordati ovvero sul lato di via Sammartini della stazione centrale c’è Drop City, progetto di riuso di questi tunnel che un tempo furono pescherie e oggi potrebbero trasformarsi in studi professionale per designer e architetti a basso costo col benestare del comune. Nel frattempo, la curatrice olandese Anneke Abhelakh ha allestito un fitto programma di mostre (Arrigo Arrighetti, Viasaterna) e incontri (Christian Kerez, Modus, Kersten Geers, Reinier de Graaf) che culmineranno questo sabato con la premiazione del concorso di idee per il riuso.

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In Triennale, oltre al nuovo allestimento del museo del design, apre la mostra di disegni di Lisa Ponti, artista, editor, critica e scrittrice, stretta collaboratrice del padre Gio. Mercoledì 19 ci sarà un dialogo fra Rem Koolhaas, Jean-Louis Cohen e Gayane Umerova su Tashkent, capitale dell’Uzbekistan ricca di lasciti sovietici e vernacolari. Il direttore editoriale dell’Editoriale Domus, Walter Mariotti, ogni mattina presso il nuovo campus Bocconi progettato dal Pritzker Prize Kazuyo Sejima intervista ceo, direttori marketing, architetti e designer sul tema “dal design di prodotto al design di processo”. 

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La Fondazione Prada dopo la mostra sulle inquietanti cere anatomiche provenienti dalla Specola di Firenze portate a largo Isarco, nella sede dell’Osservatorio in Galleria Vittorio Emanuele II, ha aperto la retrospettiva su Dara Birnbaum, artista, fotografa e autrice di video americana che indaga i pregiudizi di genere che si riflettono nell’immagine della donna diffusa dalla cultura popolare. 

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Nuove collane di design vengono varate per l’occasione, come Icaro, diretta dal filosofo Maurizio Balistreri per la romana Fandango libri, dedicata ai problemi sollevati dalle nuove tecnologie, prima uscita: Steven Umbrello, Oggetti buoni. Per una tecnologia sensibile ai valori, altri titoli su grandi designer del passato vengono prodotti come il libro Giovanna Canzi, Gisella Bassanini, Charlotte Perriand (Marinoni) che fu la più importante collaboratrice di Le Corbusier in questo campo ovvero quello delle leggendarie chaise-longue in vacchetta e divani neri in tubolare (“le sedie sono architettura, i divani sono borghesi”).


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Ricominciare dall’artigianato è invece la scommessa di Artemest.com. “Si prende un maestro di bottega - in Italia sono un milione e trecentomila le imprese artigiane” dice Ippolita Rostagno, che ha fondato il primo marketplace che vende artigianato italiano, insieme a Marco Credendino. “Siamo partiti nel 2016 con centoventi artigiani, selezionati da me personalmente in un lungo viaggio in Italia e superiamo quest’anno i milleseicento”. Per il Fuorisalone 2023, Artemest ha affittato una dimora milanese anni ‘30 e ha chiesto a sei studi di interior design internazionali di arredare ogni stanza. L’Appartamento, così si chiama il progetto, si trova in via Cesare Correnti 14, nel distretto Cinque Vie: un quartiere caratteristico per essere la fucina di diversi laboratori artigiani.

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).