Una vista di Venezia (Getty Images)  

Terrazzo

Qui dove c'era un manicomio ora c'è la Biennale

Giulio Silvano

Sulle isolette della laguna, tra padiglioni d’arte, matrimoni e resort a cinque stelle

In laguna tra le tote bags dei vari padiglioni – la Biennale è in realtà retta dall’industria delle borse di tela – e il ritorno dei gruppi zombie con auricolari che erano spariti in tempo Covid, ogni tugurio tra le calli e i campielli è occupato da qualche evento collaterale di The Milk of Dreams. Ogni occasione è buona per appendere opere in spazi imbiancati ad aprile che chiuderanno a novembre. Caldo da global warming prima che sbarchino i cinematografari per la novantesima Mostra internazionale, domani, in questi giorni tutti con la sveglia alle 7 per prenotarsi online il posto in sala per vedere White noise o la terza stagione della serie tv di Lars von Trier, o per trovare all’ultimo momento su Booking un B&B al Lido, o un divano gratis a Mestre. Tutto per vedere Chalamet, Adam Driver, Harry Styles e Ana De Armas sbarcare all’Excelsior.

 

Nemmeno sulle isolette dove una volta ci andavano i religiosi a meditare ci si salva oggi dai padiglioni. A San Servolo i lapponi con un tipì gigante dove proiettare film di registi sami su renne e neve, grazie ai soldi norvegesi, festeggiano l’epoca del post-colonialismo e delle minoranze sovrane con vestiti folcloristici – mille colori con trecce e ricami e nappine e gioielli d’argento e scarpine arricciate sulle punte – e prosecco. L’isola ospitava il convento delle monache di Malamocco che portarono qui l’omero del santo triestino, ucciso a quattordici anni per stregoneria per aver compiuto alcuni miracoli. Poi, dopo i frati farmacisti fatebenefratelli, San Servolo diventò ospedale militare e infine, nel 1725, manicomio con pazienti paganti.

 

“E’ qui che hanno rinchiuso la tipa di Mussolini?”, chiede uno appena sbarcato. “No, quella è l’isola di San Clemente”. “Ah, allora andiamo lì”. Lì, non troppo lontano, il manicomio non c’è più, solo un hotel a cinque stelle del gruppo Kempinski (un St. Regis, fino al 2015), con anche un campetto da golf, cosa rara su queste isolette. A San Servolo invece, proprietà della provincia, hanno lasciato il manicomio che è diventato in parte museo “La follia reclusa” e in parte spazio per eventi, oltre che campus per la Venice International University.

 

Così mentre si visitano le sale con docce-prigione e foto dei matti prima e dopo le cure per la “mania con furore” o per la pellagra (la malattia delle tre D: dermatite, diarrea, demenza) vengono allestiti i cortili per il matrimonio anglosassone delle 14.15 con sedie di recupero e fiori secchi. Sulla terrazza il dj si diverte a testare la potenza degli speaker con della tecno tedesca e così le fette di cervello sottovuoto dei pazzi e i microencefali in salamoia traballano nelle vetrine per via dei bassi. La provincia cerca di monetizzare ogni stanza lasciata libera dalla legge Basaglia. In città intanto ci si stupisce che Federica Pellegrini passeggi con le damigelle per arrivare a San Zaccaria e dire sì prima di spostarsi sull’Isola delle Rose, non lontano dai due manicomi, dove prima c’era un sanatorio tra gli ulivi, ora un Marriott ridisegnato da Matteo Thun. 

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