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Massimo Minini c'est moi

Giacomo Giossi

Ecco gli “Scritti”. Più che auto-monumento, il quaderno del gallerista come artista 

A una prima distratta occhiata verrebbe quasi da pensare che Massimo Minini con il suo imponente volume dal titolo “Scritti” si sia fatto il monumento da sé, ma a uno sguardo più attentamente superficiale ci si accorge che non è proprio così. Un po’ perché la superficie non va mai sottovalutata (con il rischio che sottovalutando si fraintenda il contenuto) quando la sua forma è data dalla complicità di Daniel Buren che per l’occasione ha immaginato ben quattro copertine diverse per gli “Scritti” dal titolo “Inchiostri su carta per Massimo in 4 colori”. Dunque si va dalla copertina bianco verde a quella bianco azzurro, bianco arancio e bianco fucsia.

 

Quindi nulla a che vedere con un monumento, ma qualcosa di più simile a un libro d’artista, in cui l’Io invade con grazia ogni pagina con la propria irriverente presenza. Tuttavia a differenza del recente volumone di Maurizio Cattelan, “INDEX”, che raccoglie vent’anni di interviste così come erano uscite al tempo nel contenuto e nella forma, si avverte nel caso di Minini una levità che manca a “INDEX” in cui l’ironia sembra schiacciata a forza tra le pagine. Forse bisognerebbe battezzare il volume morbido e seducente di Minini come un vero e proprio libro da gallerista. Già, ma direbbe Jannacci nel senso dell’artista. Massimo Minini ha infatti da sempre inteso il proprio ruolo come una forma di estraniamento, lui bresciano a Brescia e uomo di mondo nel mondo, ha interpretato la fuga come una forma di permanenza e per farlo ha trasformato l’ironia in una forma erotica di indagine.

 

La scanzonatura dunque al posto della tanto esibita scazzottata, sempre gradita dove l’arte diviene vetrina a favore di share per pochi eletti. Al bando dunque le celebrazioni, gli anni che passano, gli amici che non ci sono più e un po’ anche quelli che ci sono ancora. E posto invece alla curiosità divertita e gaudente di un’autointervista che al nottambulo dire “si faccia una domanda e si dia una risposta” offre invece domande pratiche e risposte irriverenti. “Scritti” va inteso allora come un libro volante (come le bandiere di Buren per l’appunto) che non lega i testi, ma li mette insieme come amici a tarda sera, uno a fianco all’altro senza invito o diritto di prenotazione.

 

Si passa dai discorsi ai pizzini, dalle polemiche ai ricordi, dagli artisti agli Sgarbi maiuscoli e minuscoli, dai giornali al Foglio. Nessuna summa, nessun archivio, ma il tentativo – come avverte lo stesso Minini in quarta di copertina – di riproporre un nuovo e infinito disordine possibile all’ordine che continuamente prende forma, con il rischio che per un vezzo di precisione qualcosa vada perso per sempre. L’intento di Minini invece è quello di far sopravvivere, di non perdere e di non mancare i pezzi, gli scarti e per l’appunto i pizzini, parola feticcio e guida del volume. Nessuna lista di ringraziamenti a chiudere il libro, ma una postfazione dalla chiusa chiarificatrice: “Sì, lo ammetto: sono Io. Massimo Minini”. Segue sorpresa che riapre le danze, proprio come a un gran ballo. 

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