Terrazzo

E' morto Umberto Riva, controstoria del design milanese

michele masneri

Vita e opere di Umberto Riva (1928-2021), l’anti-archistar, appartato e raffinato protagonista dell’architettura italiana

Se n’è andato silenziosamente com'era nel suo stile Umberto Riva, uno dei grandi rimossi dell’architettura milanese del Novecento. “Era certamente un laterale”, dice al Foglio Gabriele Neri, storico dell’architettura, che ha scritto un saggio su di lui e si appresta a pubblicarne un altro.

 

“Era il contrario delle archistar. Appartato, aveva sempre rifiutato la dimensione del grande studio, dei molti collaboratori, tenendosene uno solo. E anche le sue committenze non sono mai state quelle dell’alta borghesia. Fuori dal sistema, fuori dai giri”, dice Neri. Riva era diventato famoso soprattutto negli ultimi vent’anni, ma mai in una dimensione paragonabile a quella dei Castiglioni o Gregotti. Era famoso soprattutto per gli interni (interni di incredibile raffinatezza e di ossessione per il dettaglio, in cui la simmetria è bandita e le rette spezzate sono il simbolo di un’inquietudine progettuale). Certe scale ricordano quelle del negozio Olivetti di Carlo Scarpa, che è unanimemente considerato, anche dalla pigra necrologia di questi giorni, il suo maestro.

 

“Anche se non proprio così, almeno tecnicamente”, dice Neri. “Riva studiò a Milano prima, poi andò a Venezia allo Iuav, dove incontrò Scarpa che però non era suo professore. A Venezia, piuttosto, l’incontro col mondo del vetro, di Murano”, vetro che si vede in molti suoi progetti, applicato specialmente all'illuminazione. Ma Scarpa gli insegna anche un metodo, e una filosofia. “Ho sempre pensato – scrisse Riva - che la scuola milanese peccasse di eleganza, che esprimesse troppo una certa distinzione altoborghese. Scarpa invece mi ha insegnato l’intensità dell’architettura, anche la sofferenza”.  

 

Rispetto agli architettoni milanesi tutto un altro giro. Soprattutto all’inizio: "uno dei primi progetti è la casa di cooperativa in via Paravia, un’opera molto radicale in cemento armato a vista, tra Louis Kahn e Paul Rudolph, architetti che ammirava”, dice ancora Neri. Brutalismo, tra l’altro quasi auto-finanziato, con questa cooperativa di cui lui faceva parte, e ci abitava anche, in un appartamento all’ultimo piano con  un tavolo da pranzo a trapezio di cemento armato (nella foto sopra). Rappresentazione geometrica di un’inquietudine. E tutto un senso del non finito molto lombardo, l’idea del rifacimento continuo che da Manzoni a Gadda a Arbasino al Duomo di Milano è un genius loci.

 

Riva teorizzava infatti un design totale e massimalista, “per cui se bisognava fare una porta, disegnava anche la maniglia e la chiave”. Architettura come un percorso, un’architettura come un’infinità di episodi che si susseguono dalla cucina alla camera da letto, con rimandi infiniti che a volte sono anche manieristici, un’ossessione del design. "Un accerchiamento continuo, diceva lui. La sofferenza del progetto”, insomma l’opposto di tanti atteggiamenti più perentori, di approcci più facili. Un nome a caso, Magistretti; “il quale per esempio sosteneva che un progetto di design dev’essere talmente semplice che lo puoi progettare al telefono: e lui l’aveva fatto davvero; si vantava di aver disegnato la Eclisse, una delle sue lampade più famose, al telefono, dettando a Gismondi, proprietario dell’Artemide”.

 

Riva invece ci metteva mesi, tra disegni e ripensamenti. E assi, e vie di fuga, e colori (il bianco è solo un colore dei tanti, il soffitto è solo una superficie tra le tante, lasciarla piana e piatta è solo pigrizia). Riva, di famiglia modesta, origini sarde, nasceva pittore, poi grafico, poi ci mette dieci anni a laurearsi (“sono architetto malgrado me stesso”, dirà). Ed è stato autore di cose diversissime: tante case, e poi bar, e il viale di accesso alla Farnesina, alcune centrali elettriche, qualche lampada come la E63 prodotta da Tacchini, l'ingresso della Triennale ristrutturata. 

 

E poi soprattutto interni, questa categoria pericolosa, considerata sospetta (Gio Ponti quanti anni ci ha messo a essere considerato un architetto serio, perché disegnava oggetti e interni?). Ma Riva frequentava più pittori e artisti che non colleghi. Era anche un maestro di allestimenti: come quello della grande mostra di Le Corbusier in Italia fatta al Maxxi nel 2012, o nel 2016 alla Triennale di Milano, dove aveva costruito invece la minuscola e commovente “petite chambre” in confronto col grande maestro svizzero e la sua capanna di vacanza. “Nei manuali di design italiano il suo nome non c’è. E non è mai stata fatta una grande mostra su di lui”, ricorda ancora Gabriele Neri. Il suo archivio è al Canadian Centre for Architecture di Montreal, che gli ha dedicato grande spazio e onore,