Terrazzo

L'unno contadino

Michele Masneri

Sangue blu e pollice verde, dietro l’immagine del gaffeur Filippo è stato soprattutto real manutentore e appassionato agricoltore. Forse anche più di Carlo 

Forse quello dell’unno gaffeur, del principe bellimbusto nato nella scatola d’arance e trasformato in decorativo soprammobile, era un travestimento. 

 

E basterebbe ascoltare i vari discorsi diffusi in questi giorni su Filippo d’Edinburgo, morto fatalmente a 99 anni, con tempismo scarso per aver mancato il centenario (ma forse provvidenziale per gli equilibri disastrati di casa), per capire che era tutt’altro. Spiritosissimo parlatore pubblico (il migliore di casa); gran lettore con folta biblioteca a Windsor, che solo rarissimi ospiti potevano ammirare; acquarellista e poeta in proprio, ma tutto questo doveva rimanere segreto per non ledere l’immagine di ruvido cialtrone che probabilmente avrà coltivato per tenere lontani i rompiscatole e per scegliersi un ruolo centrale nel casting di casa, come in ogni buona serie che si rispetti.

 

Casting riuscitissimo: uno dei perni narrativi della saga Windsor, anche prima di Netflix, è sempre stato infatti quello del conflitto dell’atermico Filippo contro il sensibile Carlo: uno che ama la caccia, le donne, il patriarcato tossico nell’accademia di Gordonstoun; quell’altro che soffre e sogna biologico, coltiva il suo piccolo grande amore, e un odio forsennato e un po’ allocco contro la modernità e i grattacieli. 

 

Naturalmente salta fuori che non era poi tanto così. Basta studiare un po’ le carte e i necrologi e gli approfondimenti di tutta la stampa inglese che si stringe ora al suo duca con bombetta, nel ricordo e nell’autocoscienza anche globale e collettiva di un tempo che non tornerà mai più, in cui l’impegno generale era non farsi conoscere, andare sui giornali solo il giorno della nascita eccetera (già, tutto inconcepibile, oggi che i principi vanno a lamentare le violazioni della privacy in mondovisione).

 

Ma ecco che il ruvido Filippo fu un onesto ecologista, e contadino-imprenditore come e forse più del figlio. Uno dei fondatori del Wwf, di cui fu presidente globale dal 1981 al 1996, l’ambiente e l’agricoltura erano i campi (magari non molto sexy) in cui aveva deciso di cimentarsi.  Ma alla ricerca di un ruolo che non fosse già preso, scelse quello di real manutentore, con le formule e i bizantinismi possibili: dunque gestore delle proprietà pubbliche della Corona e “patron” di quelle private della moglie. 

 

Ruolo preso ufficialmente nel 1952, a consorte incoronata. Ha sovrinteso ai  palazzi, che indefessamente modernizzò, dotandoli di computer e pannelli solari (e talvolta abusando della funzione, come quando fece staccare il riscaldamento agli appartamenti dell’odiata suocera, che capì, e sloggiò finalmente da Buckingham Palace). Ma soprattutto agli “estates”, alle tenute. 


A Windsor, il  castello abitato più grande al mondo, proprietà statale, era “Ranger of Windsor Great Park”, titolo che al di là del nome da Hanna & Barbera  risale al Seicento. Lui il castello l’aveva parzialmente aperto al pubblico, aveva messo su il primo store aziendale della Corona, per prodotti di casa.   Ma  era anche a capo delle proprietà private della Regina, quelle che non appartengono alla Corona ma proprio a lei: dunque il castello scozzese di Sandringham, nel Suffolk,  4000 ettari  con le colossali produzioni di ribes da Filippo implementate, che vanno ad alimentare buona parte dei succhi britannici di quella bacca.

 

E a Balmoral, ventimila ettari scozzesi, non si svolgevano solo i “Balmoral test” che abbiamo tutti imparato,  per mettere alla prova primi ministri e aspiranti nuore, tra cacce al cervo sotto l’acqua scrosciante, servizi igienici malfunzionanti, balli e canti tradizionali e gutturali. Lì, Filippo aveva scatenato l’estro agrimensore: risistemazioni, dighe, coltivazioni, innesti. Tra le ultime novità, la costruzione di un impianto idroelettrico che produce energia pulita, e vari progetti di riforestazione come neanche Stefano Boeri a Milano (un bosco da 1.000 ettari ripiantumato con esemplari rari di alberi antichissimi). E se a Sandringham aveva passato la mano già nel 2017 al figlio Carlo, Balmoral se l’era tenuto stretto fino all’ultimo, forse per quel grande legame col  maniero  amato dalla regina Vittoria e da Alberto, suo principe tedesco bello e squattrinato, dunque con romantica identificazione.

 

Proprio a Sandringham però c’era stata l’ultima trovata del duca dal sangue blu e pollice verde: la coltura del tartufo nero, la prima in Gran Bretagna, un tema sul quale veniva sfottuto spesso (ma la passione  pare che gli fosse stata tramandata dallo zio lord Mountbatten, suo ispiratore e mentore, dopo un viaggio in Italia). Così nel 2006 aveva cominciato l’esperimento, grazie al suolo alcalino di Sandringham, ideale per questo tipo di tuberi, secondo gli esperti della peculiare disciplina. 

 

Esperti italiani consigliati dalla nostra ambasciata, addirittura, che lo hanno aiutato in quest’ultima impresa. E il primo raccolto, o vendemmia, chissà come si dice nell’empireo tartufesco, sarebbe stato pronto anch’esso quest’anno, nel ‘21. Adesso, Carlo, orfano a 73 anni del “caro papà”, è probabile che estenderà il proprio dominio dalle sue tenute che già fruttano siderali fatturati di biscotti e marmellate bio, anche al resto dei manieri reali, tra foreste, bacche e tartufi. Senza tanti conflitti e patemi, anzi in ideale continuità bio ed ecologica (e se anche non dovesse diventare re, si capisce che sarebbe comunque una seconda scelta mica male). 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).