Il diamante rifiutato di Giò Ponti

Michele Masneri

A Basilea il modello dell’auto disegnata dall'architetto nel 1953

Nel 1953 Giò Ponti – in collaborazione con Alberto Rosselli, collega nonché genero (aveva sposato la figlia di GP) – disegna perfino un’auto. Pensata per la carrozzeria Touring, e poi proposta alla Fiat, doveva essere un’utilitaria rivoluzionaria pensata sul telaio dell’Alfa 1900. Troppo radicale e innovativa, non se ne fece naturalmente niente: ma oggi il modello in scala 1:1 viene presentato a “Grand Basel”, ennesima declinazione della fiera svizzera che batte ogni tentativo di imitazione e punta anche su auto vintage e classiche.

 

La “linea Diamante”, questo il nome del modello pontiano, doveva essere la reazione dell’architetto milanese alle auto di allora, gonfie, alte, panciute di rappresentanza, con radiatori altissimi, finestrini piccoli, spazio interno limitato e buio.

 

Mentre la Diamante, rivoluzionaria, sembra una Panda o una Ritmo (auto di vent’anni dopo). Tante forme anticipatrici: le lamiere della carrozzeria sono piatte, e fanno risparmiare spazio, materiale e tempo produttivo. Il portellone posteriore anticipa le station wagon. I sedili posteriori sono reclinabili, gli interni pieni di tasche. All’esterno, contro il logorio della vita moderna, è previsto un paraurti continuo di gomma per attutire i colpi, studiato dalla Pirelli (che insieme a Domus e a Fca oggi hanno realizzato il modello).

 

Peccato per il tempismo: Ponti mise nel cassetto i suoi sogni automobilistici ma poi ormai anziano raccontava che cinque anni dopo, quando comparve la Citroën DS nel ’57, e la “dea” divenne un successo mondiale, lui e i suoi soci di studio se ne comprarono una a testa: in omaggio a quell’auto che era anche una bella architettura.

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