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Il grottesco allarme per la censura, che non c'è, di gente che è sempre in tv. Geppi e Elio
La satira è sacrosanta, ma diventa involontariamente comica quando chi la fa sul serio è convinto di raccontare la verità
La satira è un diritto inalienabile, molto più che solo “ammissibile”, ma quando è involontaria mette malinconia, soprattutto se l’acceleratore scappa a una giornalista brava e preparata come Concita De Gregorio, che di far satira non ha intenzione e anzi prende il tutto molto sul serio.
Prendiamo lei come exemplum, perché su Repubblica ha fatto la sintesi completa di quello che in tanti, e meno accreditati di lei, vanno cianciando in questi giorni. “Sto per parlare di Geppi Cucciari, Elio Germano, Massini e Montanari, di altri meno noti artisti e pensatori – una moltitudine – esclusi a priori dalla scena perché molesti, disuguali dunque privati di denari e di tribuna”. Ora. Geppi Cucciari, che ci capitò di applaudire quando infilzò come un tordo il non-lettore Sangiuliano, s’è fatta diciamo un po’ ripetitiva, un cliché, ma è brava per antonomasia. Però non è esattamente “esclusa a priori” dalle scene, ha avuto un bel programma Rai e come presentatrice delle serate cultural-nazional-Rai è ormai più inamovibile di Pippo Baudo ai bei tempi. Cambiato canale, è andata dalla De Filippi a concionare i giovani sui referendum: sarebbe questo il confino nella Eboli televisiva? Elio Germano ha vinto il David e ha tenuto comizio con la kefiah al collo, molto di parte ma è stato libero di farlo; ha criticato poi senza contraddittorio il ministro della Cultura: che sia questa l’esclusione, l’annullamento, la cacciata agli inferi? Montanari è in tv e sui giornali un giorno sì e uno pure, guida un’università pubblica, ma sarebbe vittima anche lui di purga fascista, perché non gli è stato rinnovato un ruolo scaduto a cui non aveva diritto automatico. Eppure Concita De Gregorio sintetizza la vox populi antifa: “Ho sentito in queste ultime ore rivolgere attacchi personali e violenti, da posizioni di potere, a Geppi Cucciari e Elio Germano”. Cucciari ha “canzonato il linguaggio di Giuli”, libera di farlo: “Molti sottolineano la sua retorica, ma lei è l’unico ministro i cui interventi possono essere ascoltati anche al contrario, e spesso migliorano”. Liberi di ridere, ma liberi anche di pensare che non è vero, è soltanto che in Italia c’è gente che pretende di far parte del ceto medio riflessivo senza saper riconoscere un riferimento a James Frazer.
Lo stesso ceto più depressivo che riflessivo (e quanti giornalisti persino) che ride di Tolkien non avendolo letto, ignora che aveva più titoli accademici di un Massini, ma per contro per spiegare a se stesso l’Italia (e ahinoi anche agli studenti delle medie) prende ancora sul serio la scemenza delle lucciole (per lanterne) di Pasolini e altri sfiniti provincialismi. Se però un ministro un po’ meno sprovveduto del predecessore sta al gioco, “al mondo del cinema stiamo dando una riconfigurazione – mi dispiace Geppi Cucciari, si può dire anche riconfigurazione”, sembra che l’abbia mandata nel lager. Si può, a differenza, dire che esiste anche la possibilità (libera anche quella) di fare una satira meno sciatta, meno a macchinetta. Benigni ci riusciva benissimo già ai tempi di Berlinguer. Dov’è dunque tutta questa censura all’olio di ricino? Scrive De Gregorio che “la destra ha un complesso di inferiorità che crede di risolvere, di risarcire additando la sinistra come vittima di uno speculare e opposto complesso: la superiorità”. Il che è in molti casi, anzi tanti, vero. Ma crogiolarsi in un autoproclamato complesso di superiorità con Germano e Cucciari? Suvvia.
Cambiando pietanza per il medesimo presunto olio di ricino, fa molto ridere anche, sempre satira involontaria, pure questa idea che il presidente del Senato non debba dire ciò che pensa, sui referendum. A parte che aveva detto, per prima cosa, che lui è intenzionato ad andare a votare ai referendum (ma su questo l’antifascista riflessivo non ha ascoltato), la libertà di non votare è legittima per tutti. Però secondo il pietrologo Berizzi, siccome l’Italia è fondata sul lavoro il presidente del Senato non può esprimere un’opinione contro il referendum che riguarda una legge del lavoro: seguendo il suo geniale ragionamento, sarebbe incostituzionale. Quindi, in base alla Costituzione rivista dal pietrologo, sulle leggi sul lavoro si può avere una e una sola opinione. Complimenti al raffinato democratico. Ma finché è Berizzi. Colpisce di più che un’ottima commentatrice De Gregorio scriva “… che se sei contrario alla domanda sottoposta a votazione – qualsiasi domanda – vai e voti no, non voglio”. No, nella Costituzione italiana non c’è alcun obbligo a votare, tantomeno al referendum, e infatti esiste il quorum. E si può non andare a votare per due motivi egualmente legittimi: per non far passare il quorum, o semplicemente perché dei quesiti di Landini non frega proprio un tubo. E’ la democrazia bellezza, non l’egemonia. L’avrebbe capito persino Gramsci.