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"Epurati, macché! Basta con la Rai televisione del dolore". Parla Letizia Moratti

Carmelo Caruso

"Gli addii di Fazio e Annunziata sono un'opportunità per la Rai. L'epurazione è ormai un tic. Il canone è indispensabile". Intervista a Letizia Moratti, già presidente Rai

Roma. Letizia Moratti, lei, la Rai la guarda ancora? “La guardo. La guardo insieme alla mia mamma”. Cosa guardate? “Geo, Rai Storia e qualche volta i talk”. Dal 1994 al 1996, fra le tante, e altre, cariche ricoperte, è stata presidente Rai, indicata dal governo Berlusconi. In Italia si è qualcosa solo se si è epurato qualcuno. Ha mai epurato? “Ho allargato. Ho dato nuovi spazi a Biagi, Santoro, Vespa e una trasmissione a Lucia Annunziata”. Annunziata, Fazio, Gramellini hanno appena lasciato la Rai. Siamo di fronte a una sfrenata occupazione della Rai da parte della destra? “Non lo siamo e, alla fine, da questi avvicendamenti, possono perfino nascere nuove opportunità”.


 Cara Moratti, vuole ricordare, in breve, come nasce la sua nomina a presidente Rai? “Sono stata nominata sotto il governo Berlusconi, su indicazione dei presidenti di Camera e Senato che mi garantirono, come da me richiesto, assoluta indipendenza”. Dopo la caduta del governo Berlusconi si è incatenata alla poltrona da presidente Rai? “Tutto il contrario. Sono stata io, dopo la vittoria del centrosinistra, con Romano Prodi, a dare le dimissioni spontaneamente. Le avevo preparate. Non ho atteso che qualcuno me le chiedesse. Era un gesto che ritenevo doveroso. Venuto meno l’esecutivo che mi aveva indicato era corretto rimettere il mandato. Si fa  così”. La convince il racconto di una Rai ferocemente lottizzata dalla destra di Giorgia Meloni, una Rai dove non è più possibile, per intellettuali e giornalisti di sinistra, esprimersi? “Non mi convince. Mi sembra piuttosto che si apre, come sempre è accaduto, una nuova stagione Rai. Una stagione sicuramente difficile, ma che può rivelarsi interessante. Una cosa è certa. Non c’è nessun pericolo democratico in Rai. Anziché parlare di minacce, che non vedo, mi piacerebbe parlare del futuro della Rai. La Rai deve tornare a produrre nuovi format nazionali, necessita di prodotti nuovi e di volti nuovi. In quegli anni siamo riusciti a girare la fiction forse più vista della storia della televisione, Il Maresciallo Rocca. Insieme a Giovanni Minoli, uomo di televisione che stimo, abbiamo valorizzato il centro di produzione di Napoli. Nasce sempre allora la fiction all’italiana, e intendo Un posto al sole, serie tv che ancora oggi va in onda”.

 

Torniamo alla parola chiave Rai: “Epurazione”. Applicata in Rai, la ritiene una denuncia seria o semplicemente un tic, un riflesso condizionato? “Mi sembra un tic. Naturalmente pure io sono stata accusata di aver epurato. E’ il destino di qualsiasi manager chiamato a occuparsi di Rai”. A suo parere, la Rai, come televisione pubblica, ha ancora ragione di esistere? “Lo ha, ma solo se capace di stare sul mercato, e parlo del mercato internazionale, così come deve essere capace di creare occupazione. Cito ancora Un Posto al Sole perché rimane un esempio. Intorno a quella fiction sono nate maestranze, sceneggiatori, costumisti”. La Lega, partito di maggioranza, chiede di abolire il canone. L’ex presidente Moratti, il canone lo eliminerebbe? “Senza canone non esiste la Rai, intesa come servizio pubblico. In America il canone è marginale e non c’è pubblicità, in Francia e in Inghilterra, al contrario, si destina alla televisione pubblica una parte consistente di denaro. Bisogna, prima di tutto, mettersi d’accordo su cosa si intende per servizio pubblico. Io sono dell’opinione che una Rai forte sia addirittura capace di rafforzare la posizione geopolitica dell’Italia nel Mediterraneo. La Rai è molto più di una televisione”. E’ anche un problema industriale. 

 

Tredicimila dipendenti e un indebitamento che supera il mezzo miliardo di euro. Da manager, non è sconvolta da questi numeri? “Quando mi sono insediata ho dimostrato che il numero dei dipendenti Rai si poteva ridurre. In quegli anni il numero è sceso da tredicimila dipendenti a undicimila. Senza licenziare e senza scioperi. Durante la mia gestione, l’indebitamento da 1.500 miliardi è sceso a 440. A fine 1996 abbiamo ottenuto 105 miliardi di utile. Queste cifre non le cito per lodarmi, ma perché sono la prova che in Rai è possibile contenere i costi. Lo si può fare attraverso un rigoroso controllo di gestione e l’ottimizzazione dei costi produttivi”. Cosa ne pensa di questa Rai inondata da cronaca nera, da mostri, e da processi ai mostri? “La trovo francamente insopportabile. Usciamo da anni dolorosi, anni di Covid, che hanno aumentato il disagio dei nostri ragazzi. Questa televisione del dolore a chi serve?”. Cosa augura alla sua vecchia/nuova Rai? “Di tornare a produrre, fare bella televisione. In una parola: fare la Rai”.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio