Foto Ansa 

Pasticcio a Viale Mazzini

La Rai regala a Minoli tremila ore di archivio e ora non sa ricomprarle

Salvatore Merlo

La vicenda surreale di "La Storia siamo noi". Il meglio della cineteca storica della Rai ceduta da Mauro Masi a Giovanni Minoli nel 2010. Quelle immagini sono il servizio pubblico

Quando lo racconta ha l’aria divertita ed esterrefatta di quello che per primo non se ne capacita. Come diavolo ha fatto la Rai a cedergli la proprietà di circa tremila ore dei suoi archivi? Tremila ore della storia d’Italia attraverso la televisione pubblica. Eppure è così. Da maggio infatti  Giovanni Minoli, per effetto di un accordo siglato dieci anni fa ed entrato adesso in vigore, è proprietario dei diritti di “La Storia siamo noi”, il suo notissimo programma televisivo andato in onda   sulla Rai da ottobre 2002 a giugno 2013. E dentro c’è di tutto, ovviamente. Trattasi di patrimonio del servizio pubblico, comprese interviste e testimonianze video che non esistono altrove. Da Andreotti che con grande cinismo dice che l’avvocato Ambrosoli “se l’era andata a   cercare” fino alle confessioni dell’autista di Berlinguer sul presunto attentato in Bulgaria. Dall’intervista in cui Steve Pieczenik sostenne che “per il Dipartimento di stato americano Aldo Moro doveva morire”  alla testimonianza del generale Gianadelio Maletti, latitante in Sudafrica dopo la strage di Piazza Fontana.  Circa tremila ore. Che Minoli potrebbe vendere a chi vuole: a Netflix, a Discovery, ad Amazon o a Urbano Cairo (“che è interessato”). Solo che Minoli dice di volerle dare alla Rai “perché è al servizio pubblico che devono appartenere”. E va bene. Tuttavia  la vicenda che viene componendosi intorno ai diritti di questo archivio  dà un’idea di degrado complessivo della televisione di stato e  del suo management. Presente e passato.  Dieci anni fa Mauro Masi, allora direttore generale, per risparmiare un po’ su un contratto milionario di tre anni che stava facendo a Minoli, in pratica gli cedette (a partire dal 2021) un tesoro preso dagli archivi dell’azienda di cui avrebbe dovuto tutelare gli interessi. E dieci anni dopo Fabrizio Salini, che ora sta al posto di Masi, si trova di fronte all’imbarazzo di dover spendere i soldi della Rai per recuperare ciò che in tutta evidenza è della Rai. E infatti tergiversa.

Che cos’è il patrimonio della Rai se non i suoi archivi, le sue teche, la sua storia che bene o male coincide con quella di questo paese? Se la Rai perde la sua storia cosa le resta? In definitiva che cos’è la Rai senza la sua cineteca? E’ un carrozzone parastatale come gli altri. Forse peggio degli altri. Senza la sua storia, alla Rai  restano l’enormità di dodicimila dipendenti sul groppone del cavallo (morente) di Viale Mazzini, i conti in rosso malgrado il canone in bolletta e qualche palazzo sparso per Roma, Napoli e Milano. La Rai è la storia d’Italia. Se la perde, non è più niente. 
Tuttavia  ciò che è evidente a chiunque non abbia portato il proprio cervello all’ammasso, lo è molto meno ai dirigenti che la politica porta in Rai, per lo più dei cetrioli presi al lazo per combinazione culinario-cabarettistica ed elevati al ruolo di direttori di area, direttori generali, amministratori delegati, presidenti e altri pennacchi e medagliette, sergenti e caporali. Tutta gente che non vive nella prefigurazione minuziosa del domani e del futuro della  sua azienda, bensì sopravvive nella prefigurazione dei quindici o trenta minuti che li attende a ogni cambio di governo, a ogni piccolo scossone del miserabile potere politico, tra riunioni della Vigilanza e del cda, pretese dei parlamentari e dei leader. E dunque figuratevi cosa potevano pensare nel 2010 i dirigenti della Rai quando firmavano spensieratamente una clausola per cedere tremila ore di archivio Rai a Giovanni Minoli. “E che ce frega? Mica ci siamo noi tra dieci anni”. Loro no. Chi li aveva nominati nemmeno. La Rai invece sì, c’è ancora, all’incirca. E l’Italia pure. Ma questi sono dettagli. Che dovrebbe sciogliere l’attuale dirigenza Rai. Solo che non lo fa. Traccheggia. Da maggio 2020 infatti c’è un surreale scambio di lettere tra Minoli (che vorrebbe vendergli l’archivio) e i vertici della Rai. Non s’è nemmeno mai parlato di soldi. “E non sono i soldi che mi interessano”, dice Minoli. Ma è ormai chiaro che l’attuale dirigenza Rai aspetta solo di scadere, tra un mese. In modo tale da lasciare a chi verrà dopo la grana imbarazzante di dover pagare coi soldi della Rai  qualcosa che era già della Rai. Auguri. E complimenti a tutti.       

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.