Katia Follesa (foto Imagoeconomica)

Mangiare una torta non è un peccato. La lezione di Katia Follesa

Claudia Casiraghi

La bellezza di Cake Star, il talent show in onda su Real Time ogni venerdì, non sta nella competizione ma negli sguardi languidi che la conduttrice lancia alla telecamera quando un dolce la soddisfa

Campagne social, manifestazioni, disappunto formato striscione. La marcia all’inclusione, per una società in cui i “curvy” non siano paria, li ha provati tutti, i mezzi della tradizione. Ma niente, nella costruzione di un mondo nuovo, dove magro non sia (necessariamente) bello, ha saputo rivelarsi tanto efficace quanto l’appetito godereccio di Katia Follesa, ultima e più sottile arma del “body positive”. La conduttrice televisiva, una morbida bionda che ha superato ormai la soglia degli –anta, è impegnata con Cake Star, talent show in onda su Real Time il venerdì sera. Il programma è piuttosto semplice: tre pasticcerie, due giudici, una sfida e un solo vincitore, decretato attraverso il “metodo Borghese”. I pasticceri in gara devono, ciascuno, assaggiare i dolci degli altri valutando, insieme a Damiano Carrara, giudice dello show, e Katia Follesa, cliente ideale, il cabaret delle paste, la bellezza del negozio e la bontà della torta scelta come pezzo forte. I punti si sommano e l’addizione stabilisce, di puntata in puntata, l’esito della competizione, che nulla, però, è in confronto alla Follesa.

 

La bellezza di Cake Star non sta nella gara, ma negli sguardi languidi che Katia Follesa lancia alla telecamera quando un dolce la soddisfa. Sta nella trepidazione con la quale si appiccica alla vetrina delle paste, nel modo eccitato che ha di pungolare i clienti abituali di un locale. La bellezza di Cake Star sta nei silenzi della Follesa mentre mangia, nei gesti della mano con i quali accompagna il proprio piacere. Un piacere che, nell’ambito di una televisione abituata a declinare il cibo come patologia o come affare gourmet, ha un che di terapeutico. Katia Follesa è la cura alla morale della colpa, la donna capace di raccontare un amore, quello per il buon cibo, spesso dileggiato e denigrato come “peccato” tout court.

 

“Ho sempre avuto un buon rapporto con il cibo, ho sempre mangiato tutto senza pormi alcuna restrizione”, racconta la Follesa. “Con gli anni, non sono cambiata io, è stato il mio corpo a farlo. Sono sempre stata una taglia 40, lo ero quando ho esordito a Zelig. Allora, però, avevo trent’anni, ero capace di mangiare un hamburger e poi un panino con la Nutella. Potevo essere certa che nulla sarebbe successo. Oggi, è finita che se mangio una pizza la sera mi sento male”, spiega la conduttrice. “L’ho accettato, però. Ho accettato i cambiamenti del mio corpo come parte dell’evoluzione della vita: sono figlia di una madre che non è proprio longilinea e di un padre che, invece, lo era. Sono una via di mezzo tra i due, come natura ha voluto, e il messaggio che mi piacerebbe passasse è che nulla accade se mangi un dolcetto”.

 

Katia Follesa, madre di una bimba, Agata, alla quale insegna che “le gioie della vita possono trovarsi in un vassoio di pasticcini”, parla di misura. “Cake Star non vuole essere un invito a fregarsene, ad abbuffarsi senza regole. Io, però, diffido delle diete talebane, quella roba per cui 'Togli questo e poi quest’altro': il segreto sta nella misura. Un dolce è un premio per le fatiche della giornata. È uno dei piaceri della vita. Non bisogna abusarne, certo. Ma non bisogna privarsene”, sostiene la Follesa, decisa a battersi contro i cliché imposti, specie alle giovani donne, da una società ossessionata da standard improbabili di bellezza (e magrezza).

 

“Io sono nata pigra. Non faccio sport, cammino. Seguo rigide regole alimentari, perché sono cardiopatica. Mangio bene, insomma. Ma mangio bene per stare bene, non per potermi infilare in un paio di pantaloncini taglia 38”. Sia lodato, dunque, un maritozzo ogni tanto e ben vengano i pranzi della domenica, con il corredo finale di torte e tortini. E sia lodata anche Katia Follesa, le cui forme morbide (“Curvy, ormai siamo entrati nella società”) e “vizi” di gola, insegnano ad amare e ad amarsi più di qualunque Alicia Keys senza trucco. Più delle pagine che, online, ripuliscono la faccia delle grandi star, legandone la bellezza alla chirurgia. Più della mostra fotografica Selfie Harm, organizzata dal fotografo Rankin per stigmatizzare il ruolo dei social nelle percezione che gli adolescenti hanno del proprio volto.

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