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Castellitto porta in televisione l'Aldo Moro professore

Onelia Onorati

Martedì 8 maggio in prima serata su Rai Uno c'è la docufiction “Aldo Moro -  Il Professore” diretta da Francesco Miccichè

È un Sergio Castellitto partecipe e appassionato quello che debutta nei panni di Moro domani in prima serata su Rai Uno nella docufiction “Aldo Moro -  Il Professore”. La somiglianza nel fisico e nell’atteggiamento c’è, ma l'interpretazione di Castellitto esula dall'imitazione. Più dell'uomo politico risalta il suo ruolo di professore partecipe e sollecito nei confronti dei suoi studenti. La riconoscenza dei ragazzi, che intrecciano con lui una bella amicizia anche al di fuori dell’aula della Sapienza (Facoltà di Scienze Politiche), è il punto di partenza della fiction nata dai ricordi del suo ex studente (e giornalista Rai) Giorgio Balzoni, diretta da Francesco Miccichè con la collaborazione di Giovanni Filippetto e prodotta da Giannandrea Pecorelli.

 


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Nel film si intrecciano documenti originali dell’epoca e la voce degli studenti, sia attraverso la ricostruzione di giovani attori, sia con il racconto di quelli veri: parlano il docente Saverio Fortuna, l’imprenditore Valter Mainetti, poi Fiammetta Rossi e Giuliana Duchini. “Questa formula a mio avviso unisce bene l’umanità del personaggio, evocando emozioni e condivisione negli spettatori, con la conoscenza dei fatti storici, di cui i giovani oggi sono purtroppo digiuni”, ha detto Castellitto.

 

Tra le immagini, i discorsi e i ricordi emerge la statura morale di Aldo Moro, quale interprete del Diritto e soprattutto della Costituzione Italiana che egli stesso contribuì a scrivere. E in questo modo si ha la sensazione di entrare in una prospettiva più ampia, che abbraccia l'interezza della personalità dello statista: “Quando parlava Moro, parlava la Storia, quando parlavano altri politici, facevano cronaca”, ricorda Valter Mainetti nel corso della ricostruzione. Oltre alla dimensione del personaggio, dunque, gli italiani per la prima volta, scoprono sul piccolo schermo anche la dimensione privata e accademica dell'ex presidente del Consiglio e Segretario della Democrazia Cristiana. Un uomo che partecipava attivamente alle vite dei giovani dando loro consigli sul futuro professionale e sulle scelte umane, che sapeva parlare di cinema e di tempo libero, raccomandando le giuste letture, che viaggiava sempre con i farmaci nella borsa, che ricordava prodigiosamente tutti i nomi e gli indirizzi.

 

Una docu-fiction intima che si fa dolente quando entrano in scena i cinquantacinque giorni di prigionia, quando l'iniziale speranza per il buon esito delle trattative, richieste con petizioni e appelli, si trasforma nel dolore per la perdita del loro insegnante. E quanti lo conoscono bene contestano chi ne mette in dubbio l’estrema lucidità, anche da prigioniero. “Le lettere che scrisse dal carcere delle Br erano sicuramente redatte in autonomia – ricorda ancora Valter Mainetti – lo si coglie anche a distanza di tanti anni dalla sua morte”.

 

La ricostruzione lascia spazio anche a più di una domanda. Tipo quelle che riguardano i sospetti sulla presenza di forze oscure nella vicenda vengono rappresentati soprattutto dai membri della “Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro”. Quelle che rilanciano il presidente Giuseppe Fioroni e uno dei componenti, Gero Grassi, che rilevano troppe incongruenze che lasciano alcune domande ancora senza risposta: ci sono state forze eversive o organizzazioni di stampo mafioso che hanno avuto parte nella storia? perché l’appartamento di Via Gradoli era stato individuato ma non perquisito? e la strana precisione con cui vennero colpiti inizialmente gli agenti della scorta ma non Moro stesso? come nessun brigatista coinvolto ha saputo fare un resoconto fedele delle ultime ore di vita dello statista, così come dei momenti dell’uccisione?

 

Una perdita, quella di Moro, che si rivelerà una pesante ipoteca e un trauma irrisolto sul nostro futuro di italiani. “Nel preparami a interpretarlo, ho letto tanto ma anche guardato le tribune elettorali, che erano un tempo l’unico spazio concesso ai politici. Da questo percorso ho capito che quarant’anni fa non hanno ucciso solo un uomo, ma hanno cancellato quello che poteva essere un futuro diverso per la mia generazione”, ha spiegato Castellitto.

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