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L'intervento

Labriola ci spiega cosa cambia nella telefonia con l'AI (anche nei contratti)

Pietro Labriola

Le Tlc sono da sempre un settore ad alta intensità di lavoro umano, che necessita di competenze, flessibilità e resilienza. E per governare l’innovazione (senza subirla passivamente) occorre puntare su formazione continua, competenze emergenti e flessibilità

Al direttore - Le telecomunicazioni italiane sono a un bivio: innovare o continuare a perdere terreno. I danni sistemici che riguardano tutto il settore sono stati pagati da tutti: aziende, lavoratori e clienti finali. Nell’ultimo periodo, però, in Italia come nel resto d’Europa, qualcosa sta cominciando a cambiare e adesso serve che questo movimento venga accompagnato, da tutti, consapevolmente, per dirigerci nella giusta direzione. Le aziende, in questi anni, hanno fatto la loro parte, continuando a investire e garantendo la stabilità occupazionale a discapito dei margini e della generazione di cassa. Ora, come Asstel stiamo lavorando per verificare le condizioni per riavviare nei prossimi giorni il confronto con i sindacati per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del settore.

E’ un passaggio importante, che arriva in una fase di profondo cambiamento per l’intera filiera, e, come Associazione che rappresenta tutte le componenti industriali e operative delle telecomunicazioni in Italia, intendiamo contribuire a questa fase con spirito costruttivo e visione di sistema. Le Tlc sono da sempre un settore ad alta intensità di lavoro umano, che necessita di competenze, flessibilità e resilienza. Anche in un’epoca segnata dall’automazione e dall’intelligenza artificiale, non possiamo dimenticare che la qualità del servizio – nel campo della rete, della manutenzione, della relazione con il cliente – è ancora largamente garantita dal lavoro umano. Oggi, però, lo scenario cambia. E cambia rapidamente. Lo scorso fine settimana, ad esempio, il Sunday Times riportava la decisione di Sky Uk di chiudere tre call center, con un impatto fino a 35 milioni di sterline. Solo un anno fa, BT annunciava il taglio di 55.000 posti di lavoro entro il 2030, nel quadro di una profonda trasformazione tecnologica. Anche l’Italia, come Francia, Germania e Spagna, difende la stabilità occupazionale e il valore sociale del lavoro. Ma è evidente che difendere non può significare immobilizzare. Serve un nuovo equilibrio.

Le principali fonti internazionali e nazionali sono chiare nell’evidenziare i rischi: McKinsey nel 2023 indicava fino a 70 milioni di posti solo negli Usa con l’automazione di ruoli di routine. Goldman Sachs nello stesso anno parlava di 300 milioni di posti nel mondo potenzialmente impattati, soprattutto colletti bianchi. A questi si aggiungono il World Economic Forum (2023) che indicava un saldo netto negativo per 14 milioni di posti di lavoro entro il 2027 (83 milioni cancellati, 69 creati) e la Banca d’Italia (2023): 10-15 per cento dei posti in Italia ad alta esposizione, in particolare tra le mansioni ripetitive e amministrative. Se guardiamo ai settori della filiera delle Tlc mappati da Asstel emerge che il  customer care è l’area più a rischio nelle attività di risposte standard, nei reclami e nella gestione dei ticket, che lasceranno la strada a chatbot avanzati con supervisione umana. Nelle operations di rete le attività maggiormente a rischio sono quelle per la diagnostica da remoto e il provisioning automatico. In quest’ambito le opportunità arriveranno dalla manutenzione predittiva con l’adozione dell’AI. Nelle attività commerciali i rischi si vedranno nel Teleselling e nelle campagne massive. Anche qui le opportunità arriveranno dall’adozione di sistemi di Crm predittivo. Infine, nelle attività di Back office le aree più impattate saranno quelle per l’elaborazione dei dati in entrata e le lavorazioni della documentistica, a fronte di benefici nell’analisi dei dati e della governance digitale. Dobbiamo governare l’innovazione, non subirla passivamente. È questo l’obiettivo che deve guidare il nuovo contratto collettivo: trasformarlo in una leva di innovazione e crescita, piuttosto che in un vincolo difensivo. Occorre puntare sulla formazione continua, valorizzare competenze emergenti, introdurre flessibilità coerente con i nuovi processi organizzativi e creare percorsi di carriera orientati all’innovazione.

Solo così potremo difendere davvero la centralità delle persone, dando loro la possibilità di crescere, contribuire e ricevere valore. Solo così l’azienda tornerà ad essere un luogo di sviluppo reciproco, dove il talento delle persone genera valore per tutti.

Il rinnovo del Contratto collettivo nazionale rappresenta quindi un’opportunità se diventa uno strumento capace di sostenere le imprese della filiera nelle profonde trasformazioni industriali e lavorative in atto. Il dialogo con le Organizzazioni sindacali inizierà domani e per quanto ci riguarda segnerà l’avvio di un percorso strategico sul futuro del settore.

 

Pietro Labriola

Presidente Asstel
amministratore delegato di Tim

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