“Daddy and Mummy” di Yeo Tze Yang, 2014 olio su tela (yeotzeyang.tumblr.com)

il foglio del weekend

Assediato dalle spam

Francesco Palmieri

Scocciatori, truffatori, multe e pubblicità. Dov’era la buca delle lettere oggi c’è l’email. Ma noi non siamo cambiati

Il cuore s’è abituato e non sobbalza più se aprendo la posta elettronica trovate l’email con cui il collega che vi ha telefonato ieri, o un amico carissimo purtroppo ei fu da tempo, o addirittura la ragazza di cui non ricordate il viso che giudicaste un anno fa indimenticabile, vi chiedono urgentemente un prestito, propongono un lucroso affare o la condivisione di un link che cela stupefacenti sorprese. Spinte dai più sfigati algoritmi ma non intercettate dai filtri, queste malinconiche spam da recensione a una stella proliferano come batteri sul web. Più insidiose se vi sorprendono nel quarto d’ora di inebetimento sono le finte email di Poste o Amazon Prime, sgamate nel tentativo di phishing da una scorsa all’account o alla sintassi transilvanica del testo. Fastidiosi fino a cinque stelle d’orticaria, anche se già contrassegnati per la cartella spam, sono i comunicati stampa delle fiere vinicole e le offerte sciistiche tardoprimaverili, i sondaggi sui comportamenti di coppia in estate, le proposte di tappeti in tre rate senza interessi (da oggi e non più da domani), gli inviti ai webinar (pandemia, mannaggia a te), le note di infaticabili gruppi parlamentari del partito che non votereste mai. Queste non sono spam in assoluto. Ma certamente lo sono per voi. Che pur dopo averle esecrate nella bassura dell’indesiderato ne soffrite l’arrivo quotidiano (aggettivo eufemistico che esorcizza il più appropriato “per sempre”).

 
Se la strada per l’Inferno è lastricata di buone intenzioni, la piazza del Purgatorio che abitiamo è tappezzata di spam. Col digitale la sorte della posta indesiderata s’è rivelata succulenta e pervasiva: le email non hanno soppiantato i messaggi pubblicitari cartacei, che continuano a intasare le buche delle lettere. Piuttosto si sono aggiunte ai dépliant infilati sotto i tergicristalli dell’automobile con fastidio maggiore nei giorni piovigginosi, quando la carta s’incolla al parabrezza con tracce tenaci che il lavavetri s’accanirà a grattare mentre ormai scatta il verde. Ma se il semaforo sembra morto sul rosso approfittate per una sbirciata allo smartphone, dove s’è accumulata una dozzina di spam scampate ai filtri che eliminate l’una dopo l’altra a colpi di pollice. (Cancellando, nella foga, anche l’unica email preziosissima).

 
Conviene subire lo stillicidio con la rassegnazione degli spiriti magni dell’umorismo come Jerome K. Jerome, l’autore di Tre uomini in barca, il quale ammonì: “L’uomo è nato per soffrire, e non è una cattiva filosofia cercare di prenderci l’abitudine”. Chi scrive, per esempio, sta cercando la concentrazione dopo il passaggio di una ditta disinfestatrice che garantisce di sterminare le zanzare, ma intanto ha ridotto l’aria del caseggiato a una minuscola Chernobyl. Sontuosa è la profusione di energie contro gli insetti: creme, dissuasori e zampironi riempiono d’estate i supermercati, mentre poco si può fare contro la posta indesiderata che infesta tutte le stagioni. Le disposizioni del Garante della privacy risultano severe e numerose (due qualità tipiche dei rimedi disperati), quanto inefficaci contro la mole abnorme del cosiddetto soft spam.


Persino una vocazione religiosa come via di fuga dalla pazza posta risulterebbe vacua, perché i conventi per modernizzarsi hanno aperto il sito web con casella elettronica e sono soggetti come laici qualunque al flagello. Ci sarà un monaco paziente assegnato allo smistamento, che nell’anelito alla santità sfronda le email a mo’ di penitenza procacciandosi un centimetro in più verso il Paradiso. Ma per noi che la malediciamo, la posta fastidiosa genera solo centimetri dal Purgatorio all’Inferno. La dannazione si distingue dalla santità più per l’approccio che nel merito.


“Chi vive nel nostro tempo è vittima di nevrosi. Per vivere bene non bisogna essere contemporanei”, scriveva nel 1966 Ennio Flaiano. E cosa direbbe adesso che l’arma tipica degli aforisti – il paradosso – si spunta sull’esuberanza della realtà. Così viviamo nel 2021 grazie allo smartphone, ma anche nel 1966 poiché la vecchia buca delle lettere è inzeppata, come allora, delle pubblicità di supermarket, pizzettari, “compro oro”, palestre, agenzie immobiliari e antennisti. Fra tutte le scartoffie si profila riconoscibile la busta oblunga della bolletta del gas o della luce, che un disagio cognitivo ci faceva ricordare pagata appena un mese fa (per la Tim non si tratta di errore mentale, è esattamente così).


“Non bisogna essere contemporanei” è un bel dire, caro Flaiano. Ne sa qualcosa chi sperimentò, nel confinamento da pandemia del 2020, l’avventurosa ricezione di una lettera raccomandata. Quando i postini, magari assunti a tempo quindi più frettolosi (diciamo così), lasciavano la strisciolina d’invito al ritiro poggiata sul ghirigoro di ferro battuto del cancello condominiale. Il precario avviso andò perduto per sempre se vi batté le ali una farfalla o se, semplicemente, spirò un refolo di vento. I condomini senza custode rimpiansero allora i portinai, persino quelli che con sguardo compiaciuto tradiscono al rincasare dell’inquilino la giacenza di una multa nella cassetta. Presumibilmente è la buca delle lettere, assieme alla casella mail di chi ha attivato la Pec, la fonte d’ansia comune più incombente prima dei cambiamenti climatici, della corsa iraniana all’atomica o della plastica negli oceani.


Siamo in piena zona Kafka secondo il celebre filosofo del web Byung-chul Han, il quale richiamando una lettera dello scrittore a Milena ricorda le sue angosce per la comunicazione epistolare. “Nel frattempo, i fantasmi kafkiani hanno inventato anche internet, gli smartphone, le email, Twitter, Facebook e i Google Glass. Kafka direbbe che la nuova generazione di spettri, ossia quelli digitali, sono più voraci, più spudorati e chiassosi”.  La comunicazione “assume una forma non soltanto spettrale, ma anche virale”: addirittura – il filosofo sudcoreano lo diceva prima del Covid – “un’informazione o un e-content, quando anche di scarsa rilevanza, si diffonde furiosamente in rete come un’epidemia o una pandemia”. 

  

“Daddy in Cane Chair” di Yeo Tze Yang, 2014 olio su tela (yeotzeyang.tumblr.com)
      

   

“La spam è caratterizzata dall’ambivalenza”, spiega il sociologo Massimo Cerulo, professore all’Università di Perugia: “Da una parte sembra una sorta di flagello quotidiano impossibile da evitare, poiché tutti siamo costretti ad accettare ‘cookie’ o a inserire i nostri indirizzi email in newsletter di siti di cui abbiamo effettivo bisogno, dalle utenze di casa a gruppi di lavoro professionale, da attività di tempo libero a forme associative culturali. Dall’altra, la digitalizzazione della corrispondenza rende immediata la possibilità di ricorrere al rimedio: l’esistenza dell’omonima cartella ‘posta indesiderata’, la possibilità di disdire con un clic l’abbonamento alla newsletter, il diritto a dimenticarsi e perfino a non aprire l’email che ci giunge”.


E’ realtà tuttavia ineluttabile che “la contemporaneità” paventata da Flaiano eroda sempre più la sfera privata: “Nella società moderna tutti siamo meno discreti nei confronti degli altri. Tutti ci spingiamo a porre domande, produrre supposizioni, chiedere informazioni che riguardano la vita degli altri: è un’altra forma del cosiddetto pettegolezzo. In sociologia”, aggiunge Cerulo, “significa integrazione e controllo sociale. Come se non esistesse quasi più nulla di privato, la modernità ha mandato in frantumi il confine tra dimensione pubblica e spazio intimo, tra cerchia di amici-conoscenti e gruppi di sconosciuti. Nessuno è più sconosciuto, prova ne è in Italia il collettivo ricorso a un ‘tu’ al posto del ‘lei’ che non fa altro che generare un rapporto di finta confidenza, una sorta di emotività a buon mercato per estrapolare informazioni altrui o convincere a sottoscrivere un’offerta commerciale. Precipita tutto in un discorso ‘marmellata’, che fa venire meno qualsiasi forma di rispetto e di distanza interpersonale”.


Oltre al fastidio sono evidenti i rischi di un clic affrettato, con cui puoi persino dire addio al pc perché hai scaricato un virus o sei cascato nella rete abominevole del phishing svelando dati sensibili. “Ecco perché alla corrispondenza indesiderata si dovrebbe sempre rispondere accendendo mente e cuore, perché non avrebbe poi senso rammaricarsi dicendo: ‘ho cliccato d’istinto’, proprio perché nella modernità è tutto l’Io che partecipa a ogni azione”, sottolinea Cerulo.


 La moderna “perdita di discrezione” somma aguzzini impalpabili a quelli delle specie tradizionali, che rispondono a tecniche già affinate duemila anni fa. La fastidiosa intrusione del “seccatore in presenza” è rimasta più o meno immutata rispetto a quella descritta in modo imperituro nella nona satira del libro primo di Orazio, col poeta arpionato da uno scocciatore mentre attraversava il Foro pensando ai fatti suoi (“Ibam forte via Sacra, sicut meus est mos…”).


“Fino a pochi anni orsono se non uscivi di casa non ti potevano molestare. Oggi, con la connessione obbligata a internet e lo smartphone, sei bersagliato a qualsiasi ora fin dentro la tua stanza”, osserva lo scrittore e vignettista Amleto De Silva, in arte Amlo: “Una volta il rompiscatole si esercitava al bar nelle forme più sadiche e varie, come il tizio che ti mandava a sperdere assicurandoti, se eri disoccupato, di avere un cugino che stava giusto cercando un laureato in Filosofia per un posto da dieci milioni di lire al mese. Salvo scoprire poi che il lavoro era in Polonia, quello non era il cugino e non cercava laureati in filosofia ma un ingegnere… Oppure pensate agli ambulanti di penne biro e calzini, che prima ti apostrofavano con i titoli di dottore, avvocato, e adesso si sono aggiornati virando sull’estetica: se hai pochi capelli ti chiamano Bruce Willis, se ne hai tanti Little Tony, se sei donna ti appellano sempre Kim Basinger. Ho assistito di recente a un meraviglioso conflitto: un venditore di cazettielli che cercava di rifilarli a un ambulante di fazzolettini, il quale lo guardava esterrefatto, incredulo. Uno scontro da Notte dei lunghi coltelli… Eppure queste tipologie di seccatori sono molto più neutralizzabili paragonate ai supplizi digitali”, prosegue Amlo: “Prenotare una carta d’identità o rifare la Postepay durante il periodo di smart working, richiedere lo Spid, utilizzare la Pec con l’ansia che se sbagli procedure il pc si autodistruggerà e magari le indicazioni più importanti sono celate in una quarta schermata per cui ti perdi proprio quelle… Per non dire di quando sei costretto a interagire al telefono venti minuti con un robot cui segnalare un guasto elettrico e quello ti ripete: ‘non capisco’. Poi c’è un’altra cosa: è vero che il digitale per certe cose rende la vita più semplice, ad esempio per eseguire un bonifico bancario, ma dietro la comodità di un clic c’è probabilmente qualche posto di lavoro in meno. Che fine avrà fatto quel capo usciere che incontravi andando in filiale, simile per la maestosa livrea a un maggiordomo del Quirinale? Ecco, ogni volta che clicco ho l’impressione di avere assecondato qualcosa di male”.


E’ auspicabile, in questa guerra persa, affidarsi agli dèi. Se Orazio fu salvato dal seccatore grazie al presunto intervento di Apollo (“Sic me servavit Apollo”), chi fronteggia le insidie del web dovrebbe raccomandarsi a Mercurio, che secondo attenti studiosi come Silvia Ronchey sovrintende al mondo della connessione. Un Hermes “inflazionato” dall’assedio digitale cui siamo sottoposti a detta di Roberto Calasso, e che si rivela “beffardo e truffaldino, prodigo di doni avvelenati”. Ma che ci salva, ne fu convinto Carl Gustav Jung, dai rischi della paranoia grazie ai suoi stratagemmi, di cui il ricorso all’ironia rimane il più propizio. Jerome K. Jerome e forse pure Flaiano lo avevano capito.


“Giuro che certe volte mi viene addirittura voglia di rispondere a qualche spam più molesta per contromolestare il molestatore: magari a chi propone un rimedio se per caso ce l’hai ‘piccolo’ potresti pure replicare… ma in linea di massima lo so che non possiamo scampare al tormento”, confida il comico romano Maurizio Battista. “È come per la pubblicità indesiderata nella cassetta condominiale: a me arrivano due bollette al mese e tutto il resto è noia su carta sprecata. O come per le telefonate con cui t’invitano a risparmiare sulla luce cambiando gestore. Io rispondo: – Scusi, ma sto lavorando. Quello mi fa: – Anch’io! Al che ribatto: - E no! Tu me stai a rompe’ li cojoni!” conclude Battista, junghiano inconsapevole cui il vecchio Orazio non darebbe torto.

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