Con il Data Governance Act l'Ue difende la sua sovranità tecnologica

Vincenzo Colarocco

Bruxelles accetta la sfida di America e Cina: quella di cercare una strada indipendente in tema di gestione dei dati

    Il 25 novembre scorso, la Commissione europea ha presentato al Consiglio e al Parlamento una proposta di Data Governance Act; l’importanza della proposta, ma anche il suo valore aggiunto rispetto alle singole normative vigenti, si intuisce già dal suo titolo. La governance dei dati è l’insieme di regole e mezzi che ne disciplinano l’utilizzo, attraverso meccanismi di condivisione, accordi e standard tecnici, fino alla previsione di strutture e processi per la condivisione dei dati in modo sicuro, anche attraverso partner terzi. Alla base della proposta c’è la percepita esigenza di un modello uniforme di gestione dei dati a livello comunitario, a fronte della oramai diffusa consapevolezza del loro enorme potenziale economico e sociale. L’analisi dei dati consente infatti di sviluppare decisioni e politiche maggiormente efficaci, in quanto basate sull’evidenza, tanto nella gestione delle emergenze quanto nella programmazione strategica delle policy. 

      
    Tra le previsioni troviamo la regolamentazione del data sharing, ossia la libera condivisione dei dati nello spazio economico europeo fra soggetti pubblici e privati. Essa risponde, da un lato, all’obiettivo di favorire la rielaborazione dei dati per ragioni di pubblico interesse, dall’altro, a quello di scongiurare l’“egemonia dei dati” e le speculazioni da parte delle piattaforme tecnologiche. Il nuovo corpus regolatorio non potrà non tenere in debita considerazione le previsioni cogenti del Regolamento europeo n. 679/2016 per il trattamento dei dati di natura particolare. 

     
    Il regolamento sulla governance, uniformando le azioni degli stati membri, favorisce inoltre la creazione di uno Spazio comune europeo per i dati. Lo European Data Space (Eds) consentirebbe lo scambio di dati provenienti da tutta l’Ue, sia dal settore pubblico che dalle imprese, in modo affidabile e a costi inferiori, stimolando così lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi basati sui dati. Nove i settori strategici dell’Eds, come già stabilito nella “strategia dati” del febbraio 2020: salute, ambiente, energia, agricoltura, mobilità, finanza, produzione, pubblica amministrazione e competenze. I finanziamenti necessari proverranno dal programma Digital Europe e dal Connecting Europe Facility, con una stima di investimento pari a 2 miliardi di euro per promuovere lo sviluppo di infrastrutture, strumenti, architetture e meccanismi per la condivisione. In tale scenario, vengono previste le figure dei data sharing service, i cosiddetti “intermediari di dati”, che si occuperanno di raccoglierli e organizzarli in modo neutrale, con espresso divieto di cessione degli stessi per scopi propri (ad esempio, vendendoli a un’altra impresa o utilizzandoli per sviluppare un proprio prodotto). 

     
    Il progetto di regolamento prevede anche la creazione di un Comitato europeo per l’innovazione dei dati – con il compito di facilitare la condivisione delle migliori pratiche da parte delle autorità degli stati membri, in particolare per quanto riguarda la condivisione per scopi di interesse pubblico – che dialogherà con la Commissione sulla definizione delle priorità degli standard di interoperabilità intersettoriale.

     
    Ecco allora che l’Europa accetta concretamente la sfida per la difesa della propria sovranità tecnologica (in parte già messa a punto con il Digital Single Market, il white paper sull’intelligenza artificiale, la direttiva sul secondary use, il Regolamento sulla circolazione dei dati non personali, il Regolamento e-privacy). La proposta del Data Governance Act, insieme ai frequenti interventi del Comitato europeo per la protezione dei dati – tra i quali si annoverano le recenti raccomandazioni sul tema del trasferimento dei dati all’estero e sulle garanzie essenziali per un livello della loro protezione equivalente a quello previsto dalla normativa europea – conferma, dunque, la direzione indicata dalla presidente Von der Leyen già al suo insediamento: l’indipendenza europea da America e Cina e il bilanciamento tra la governance dello sviluppo tecnologico e le esigenze sociali.