Ma è proprio vero che Google Maps sa le strade meglio di noi?

Eugenio Cau

L'algoritmo egoista del Gps e la lotta nel traffico tra l'uomo e la macchina

Roma. Se avete una patente e uno smartphone, se dunque guidate un’automobile e usate una app di navigazione come Google Maps o Waze, certamente avete imparato una lezione fondamentale: Google ha sempre ragione. Lo avrete scoperto quella volta che Google voleva farvi prendere la tangenziale ma voi figurati, così si allunga un casino, taglio in mezzo al centro che ci si mette un attimo ed eccovi bloccati in un ingorgo. Oppure quando Google dice di andare dritto ma vi ostinate a seguire i cartelli che dicono di svoltare, e in capo a cinque minuti siete dispersi in mezzo al nulla. Google ha ragione, sempre. Google ci vede dalle altezze siderali dei satelliti del Gps, e da lì ha tutti i dati per guidarci meglio di quanto noi potremo mai fare da soli. Sa dove siamo e dove sono tutte le altre automobili, tiene in considerazione le strade chiuse, i semafori lenti e i lavori in corso. E’ per questo che le app di navigazione sono l’esempio perfetto della vittoria inesorabile dell’algoritmo sull’esperienza umana: le macchine non sono ancora capaci di cuocere un’omelette, ma quando si parla di andare dal punto A al punto B sono imbattibili. Un tassista londinese può aver trascorso anni a imparare tutti i vicoli della città, ma il database di Google è più grande, la vittoria sarà sempre schiacciante.

Google 1, razza umana 0.

 

Ad annunciare una possibilità di riscossa è stata in questi giorni una ricerca dell’Institute of Transportation Studies dell’Università della California pubblicato di recente e ripreso ieri da Alexis Madrigal sull’Atlantic. Lo studio usa una serie di simulazioni del traffico per provare che l’algoritmo ha un punto debole: è egoista. E’ stato pensato per fare sempre la scelta migliore per il singolo conducente, ma non è affatto detto che il vantaggio per il singolo corrisponda al vantaggio della collettività – e la collettività è importante quando si parla di una marea di automobili che viaggia tutta insieme. Esempio: la strada A è bloccata a causa di un incidente. L’algoritmo se ne accorge e indirizza tutte le macchine non ancora imbottigliate su un percorso alternativo, la strada B. I veicoli si lanciano sulla strada B, e intasano anche questa. Nel frattempo, l’incidente sulla strada A è risolto, ma l’algoritmo ha creato tutta una serie di sotto-ingorghi nelle strade vicine, e il traffico complessivo ne risente. Senza navigatore, dice la simulazione dell’Università della California, gli autisti avrebbero evitato di fare percorsi alternativi, e il traffico sarebbe ripartito prima.

Google 0, razza umana 1.

 

I ricercatori della California sanno bene che lo studio dei flussi del traffico stradale è una scienza difficile che riserva tantissime sorprese, e quando parlano con l’Atlantic sono cauti nel dichiarare vittoria. Ma per noi umani perennemente sotto lo schiaffo di scienziati sicuri che presto i robot ci renderanno inutili, ogni piccola speranza è un successo. Di recente, un articolo di Douglas Hofstadter che diceva che Google Translate non è poi tanto bravo con le traduzioni è stato portato in trionfo da schiere di traduttori professionisti che hanno sentito il loro posto di lavoro un pochino più al sicuro.

 

Non è detto. Prendete per esempio Yuval Noah Harari, il pensatore israeliano che l’anno scorso ha pubblicato il saggio futuristico “Homo Deus”. Nel libro, Harari fa esattamente l’esempio di cui abbiamo parlato sopra, ma immagina un algoritmo più potente: se la strada A è bloccata, l’algoritmo informerà soltanto metà dei conducenti che la strada B è libera, e manterrà l’informazione segreta all’altra metà. (In realtà bisognerebbe aggiungere alcuni elementi di complessità: già adesso lo studio californiano immagina che soltanto il 20 per cento dei conducenti usi il navigatore, ma l’idea rimane: l’algoritmo studierà i flussi del traffico e dirà a ciascun guidatore dove andare). E’ una soluzione interessante ma problematica. In base a che criterio l’algoritmo decide quale autista rimane sulla strada A e quale devia sulla B? I conducenti di oggi dicono: vogliamo sapere!, ma probabilmente i conducenti di domani diranno: l’algoritmo ha sempre ragione, non importa come decide, importa che lo faccia bene. E’ qui il rischio. E’ assai probabile che se noi umani possiamo ancora segnare qualche punto nel match contro l’algoritmo, è soltanto perché lui non si è allenato abbastanza.

Qualunque-cosa-verrà-dopo-Google 10, razza umana 0.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.