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Adesso Facebook vuole le nostre foto porno per non farle finire su Facebook

Antonio Gurrado

Perché siamo arrivati al paternalismo surreale del social network di Zuckerberg

Vi mostrereste mai nudi a uno sconosciuto? Se la risposta è no, onde evitare che accada Facebook ha escogitato il metodo infallibile che fa per voi: consiste nel mostrarvi nudi a uno sconosciuto. Il programma pilota che il social network più capillare e invasivo del mondo sta sperimentando in Australia è infatti imperniato su un paradosso ardito. Poniamo che qualche vostro amante deluso brami vendicarsi squadernando online le vostre foto osé, risalenti ai tempi in cui eravate una coppia felice e sporcacciona; o poniamo soltanto che la vostra coscienza rimorda per immagini poco edificanti di cui sapete l’esistenza e di cui temereste la diffusione. Niente paura: vi basta spedirvi le foto nude da soli. Dalla chat di Facebook inviate un messaggio privato a voi stessi, dopo avere compilato un apposito modulo online che certifica i vostri timori di delazione, e Facebook provvederà a marchiare le foto sconvenienti con un codicillo informatico sufficiente a impedirne automaticamente la diffusione sulle varie piattaforme afferenti al social, da Messenger a Instagram. Per ora vale solo in Australia (statistiche surreali dimostrano che il revenge porn è diffuso in particolare fra gli aborigeni: fra loro, uno su quattro ne è stato vittima una volta sbarcato sui social) ma Canada, Usa e Regno Unito seguiranno; poscia il mondo intero. Come sempre, Facebook ha un intento subdolo ammantato di etica paternalista. Patrocina una trasparenza assoluta di cui la nudità è simbolo precipuo e, facendo leva sui vostri timori, vi porta a identificare il bene con la consegna dei vostri scheletri a un armadio altrui. Pensate alle ragazzette modenesi che in questi giorni hanno visto spargere il proprio gioco esibizionistico oltre i confini previsti; fossero state australiane, per paura di farsi sottrarre le foto scottanti si sarebbero ingenuamente precipitate a catalogarle sul social network, casa della loro anima adolescente, che è come correre a regalare l’argenteria per timore che qualcuno la rubi. Naturalmente Facebook assicura che le immagini spifferate spariranno in tempo record; l’automessaggio equivarrà a metterle sotto chiave e non ne resterà traccia se non il codicillo per celarle. Non è sinistramente simile alle promesse dell’amante che vi aveva giurato che mai e poi mai avrebbe diffuso le immagini private? Facebook intende mettere alla prova la fiducia che avete nei suoi confronti, farsi dimostrare dedizione totale spoglia di ogni dubbio (e di ogni vestito) col farvi dichiarare implicitamente che vi fidate più di un’app che delle persone per i cui occhi vi siete spogliate. Questo autoproclamato impero del bene – lo stesso che vi esilia per un mese se mandate una foto goliardica ai vostri amici, che scambia “L’origine del mondo” di Courbet o “Il bacio” di Rodin per bassa pornografia, che permette la pubblicazione di capezzoli maschili ma non femminili – fa leva sul proprio conclamato bigottismo per lasciarsi affidare i vostri più nudi segreti e pretende che vi fidiate nonostante un dettaglio di sublime perversione. Nel regno degli algoritmi, infatti, l’incaricato a criptare le vostre foto segrete sarà una persona in carne e ossa, uno sconosciuto dipendente di Facebook il quale trascorrerà noiosissime ore d’ufficio a guardare nel dettaglio tutto ciò che volete nascondere al mondo e, dopo un periodo di comprensibile sovraeccitazione, perderà ogni interesse per l’erotismo senza più misteri. Sarà lui, poverino, la principale vittima del vostro timido esibizionismo.

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