Prosa e poesia granata

Settant'anni fa la tragedia di Superga che fece scomparire il Grande Torino. Una squadra così non poteva che generare una produzione letteraria smisurata

Mauro Berruto

Se il calcio è letteratura, il Torino è poesia e oggi, esattamente 70 anni dopo la tragedia di Superga, questo spazio unnecessary, di questo unnecessary supplemento del Foglio (così come definito, in modo splendido, dal suo curatore Piero Vietti), deve necessariamente essere dedicato al Grande Torino. Aggiungete poi che sia io che Piero siamo tifosi del Toro fino al midollo, e capirete che questa settimana non avete proprio scampo. Pier Paolo Pasolini diceva che il calcio europeo, orientato al gioco di squadra, è prosa, mentre quello sudamericano, fondato sugli assoli di geniali solisti, è poesia. Beh, il Torino è prosa e poesia, storia e leggenda, favola e realtà messe insieme. Una squadra così non poteva che generare una produzione letteraria smisurata (personalmente possiedo 56 volumi, due ripiani di una libreria, dedicati solo al mio Toro) dunque scegliere è un supplizio. Oggi, però, è il giorno della memoria del Grande Torino e scelgo due libri per ragioni che capirete al volo. Il primo lo ha scritto Sauro Tomà e si intitola Me Grand Turin (Graphot editrice, 1998). Chi è un minimo esperto ha già capito: il motivo della scelta sta nell’autore, quel Sauro Tomà difensore dal Grande Torino a cui un infortunio a un ginocchio impedì di partire per la fatale trasferta di Lisbona. Sauro, forse, ha avuto il destino peggiore: morto de facto con loro il 4 maggio 1949, se ne è andato fisicamente da questa terra il 10 aprile 2018, sessantanove anni dopo. Chi lo ha conosciuto percepiva il suo paradossale senso di colpa per non essere stato con loro e vedeva gli occhi vuoti di un sopravvissuto riempirsi di lacrime ogni volta che parlava dei suoi compagni. Si riempiranno di lacrime anche gli occhi di qualunque lettore, di qualunque fede calcistica purché in possesso di un muscolo cardiaco, leggendo un libro che mette insieme toccanti ricordi personali, fotografie e dati statistici capaci di oggettivare il sottotitolo: Storia della squadra più forte del mondo. Le pagine più strazianti sono quelle del racconto dell’estremo addio al Grande Torino, il 6 maggio 1949. Tomà è un uomo che guarda e racconta il suo funerale, prima confuso in mezzo alla folla di Piazza Castello, poi vegliando le salme nella camera ardente di Palazzo Madama. Quello stesso Palazzo, quella stessa sala, sessantanove anni dopo accoglieranno il corpo di Sauro, omaggiato da migliaia di tifosi granata, lì presenti alla chiusura di un incredibile e struggente cerchio.

 

Il secondo libro non parla di persone, ma di un luogo capace di trasformare le persone. Lo hanno scritto Vincenzo Savasta e Fabrizio Turco: Filadelfia, storia di un territorio e del suo stadio (Bradipolibri, 2016). È una dettagliata ricostruzione della Torino di quegli anni di dominio granata dove il Filadelfia, più che stadio un tempio, viene raccontato nel suo contesto socio-economico, rendendo comprensibile la magia che lo circondava. In quello luogo il tempo si fermava: la Torino martoriata dalla guerra si rialzava con orgoglio, riscopriva la capacità di vincere: dentro al Filadelfia il 10-0 all’Alessandria, tuttora record per una partita nel campionato di serie A e un’imbattibilità interna durata dal 17 gennaio 1943 al 4 maggio 1949, il giorno dello schianto: 100 partite consecutive! Ignobilmente demolito nottetempo, per evitare contestazioni, poi tenuto in vita dai tifosi del Toro che curavano il moncone di gradinata rimasta in piedi e il prato come se fossero beni di famiglia, il Fila è rinato nel maggio 2017. Sarà difficile ritrovare quell’odore magico “molto più forte di quello dell’erba tagliata di fresco, e soprattutto perenne e persistente di arredi vetusti e memorabili, silenziosi e sussurranti, di ambienti vissuti e ancora viventi, dotati d’anima, ma talvolta segreti e impenetrabili”. Odori, scrivono Savasta e Turco, “che qualcuno descrive sommessamente, quasi per non farsi deridere da chi, non tifoso granata, mai potrebbe coglierne l’essenza”. Vero: chi non ha avuto la fortuna di essere stato scelto dal destino a tifare questa maglia color del sangue probabilmente non può capire. E a noi, popolo del Toro, sta benissimo così!

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