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La pesca e la grazia

Mauro Berruto

Le grandi passioni di Ernest Hemingway sono la caccia, la tauromachia e, prima fra tutte, la pesca

Se la pesca è uno sport, con tanto di propria federazione, i pescatori si possono considerare atleti? “No”, risponderebbe un loro prestigioso testimonial, Ernest Hemingway: “Sono eroi”. Già, perché gli eroi di Hemingway sono eleganti, forti, capaci di manifestare quella che lui chiama grace under pressure ovvero grazia sotto pressione qualcosa che si avvicina a ciò che Anton ČCechov, a fine Ottocento, definiva così: “Quando un uomo usa il minimo numero possibile di movimenti per compiere una definita azione, quella è la grazia”. Le grandi passioni di Ernest Hemingway sono la caccia, la tauromachia e, prima fra tutte, la pesca. Fin dall’infanzia era un appassionato pescatore nei laghi e nelle insenature vicino alla casa estiva della famiglia, a Walloon Lake nel Michigan, e i suoi primi pezzi giornalistici spesso riguardavano proprio il suo sport preferito. Così leggere la straordinaria antologia Hemingway on Fishing (Scribner, 2012) è un modo per conoscere nel profondo l’autore americano. On Fishing raccoglie pagine di romanzi noti, testi semisconosciuti e reportage di Hemingway: il tratto comune è che in ciascuno di essi la pesca diventa letteratura. Si passa da Festa Mobile a Isole nella corrente, da Fiesta allo straordinario Grande fiume dai due cuori (pubblicato in Italia ne I quarantanove racconti, Einaudi, 2018) considerato uno dei vertici della sua prosa, un capolavoro di introspezione, dove il salto di una trota fuori dall’acqua è capace di far precipitare il protagonista, Nick Adams, in un gorgo di nostalgia. Questa raccolta non potrebbe prescindere dalle migliori pagine di un breve romanzo sull’arte della pesca che Life pubblicò nel 1952, venne premiato con il premio Pulitzer nel 1953 e contribuì in maniera decisiva per il premio Nobel, l’anno successivo: Il vecchio e il mare (Mondadori, 2000).

 

Ora non è tempo per pensare a ciò che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che c’è” si ripete Santiago, vecchio pescatore cubano che da due mesi e mezzo torna a mani vuote dal mare. La sua reputazione è compromessa, tutti l’hanno abbandonato. Perfino i genitori del suo apprendista, Manolin, preferiscono che il ragazzo si accompagni a pescatori più fortunati. Così, un giorno, il vecchio decide di avventurarsi da solo in mare aperto, molto più lontano del solito. Sarà lì che aggancerà al suo amo un enorme marlin con cui ingaggerà una battaglia di tre giorni: la forza della disperazione contro l’istinto alla vita. Santiago, dopo aver combattuto con quell’avversario che diventa un fratello, riesce a legarlo alla sua barca, iniziando il viaggio di ritorno verso la terraferma. Tuttavia il pesce, perdendo molto sangue, è attaccato da decine di squali che, nonostante gli sforzi di Santiago per difenderlo, si ciberanno delle sue carni. Sul fianco della barca resterà un’enorme carcassa, che i colleghi di Santiago radunati sulla spiaggia, guarderanno esterrefatti. Santiago, distrutto dalla fatica e dal senso di colpa per aver sacrificato un rivale così valoroso, tornerà nella sua capanna a dormire. Lo sveglierà Manolin la mattina dopo e, davanti a un caffè, gli chiederà di poter tornare a essere il suo compagno di pesca. Un romanzo che parla di dignità, di superamento dei limiti, di lealtà. Una meravigliosa storia di un sé e di un altro e dell’enorme rispetto che si concedono perché la grandezza dell’avversario si riflette nell’eroismo del vincitore, aumentandone il valore. Quella carcassa, metafora di un successo che apparentemente si trasforma in sconfitta, è lì per tenere vivo un valore che risplende: la vera vittoria è quella contro se stessi, i propri limiti, le proprie paure. E sempre con grazia, come gli eroi. Ne Il vecchio e il mare ci sono le più belle pagine mai scritte sul senso dell’agonismo e la sua più romantica definizione: “L’uomo non è fatto per la sconfitta. Un uomo può essere distrutto, ma non sconfitto”.

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