Il modello da copiare per le startup è quello israeliano, dove lo stato è un investitore a rischio

Maurizio Stefanini
Tel Aviv è oggi la capitale mondiale dell’innovazione. In Israele il boom dell’hi-tech iniziò proprio dopo lo smantellamento del sistema socialisteggiante in cui il 90 per cento dell’economia era gestito dal sindacato Histadrut.

Laureato in Fisica, Simone Botti ricorda di essere stato nel 1990 un esponente del movimento studentesco della Pantera. Per essa creò perfino una rete tra computer – allora assolutamente pionieristica – anche se non si rendeva ancora conto che cose del genere “potessero avere un ritorno economico”. Poi è finito in Israele: Ph.D. in Biologia strutturale e neurobiologia all’Istituto Weizmann con Ada Yonath, futuro premio Nobel per la chimica 2009, creatore di startup; vicepresidente della Camera di commercio Italia-Israele, ceo di Metabomed, che si occupa di medicinali anticancro.

 

Domenico Spinelli, già fondatore e direttore di Luiss Innovazione, è invece il managing director di Wide Pilot srl: startup romano-pugliese di  consulenza “che nasce per sviluppare progetti complessi, finalizzati a realizzare nuove tecnologie industrializzabili”. Botti e Spinelli, parlando rispettivamente di Tel Aviv come capitale mondiale dell’innovazione e delle startup italiane presenti in “un paese con il freno a mano”, sono stati due degli ospiti di punta nella pre convenzione di Roma della Marianna, il movimento politico “contro il declino” in via di costruzione dopo un appello di Giovanni Negri.

 

Due interventi su realtà molto diverse, ma su molte cose convergenti. “Israele ha molte caratteristiche irriproducibili”, spiega ad esempio Botti, “ma una cosa che può tranquillamente essere trasferita anche in Italia è senz’altro l’idea che lo stato debba essere un investitore a rischio”. Concorda Spinelli: “E’ stato Henry Etzkowiz, ebreo newyorchese docente alla New York University, a insegnarmi che il capitalismo di Venture Capital o è inizialmente pubblico o non è, anche se può sembrare una contraddizione in termini”. La contraddizione può sembrare anche maggiore quando si pensa che in Israele il boom dell’hi-tech iniziò proprio dopo lo smantellamento del sistema socialisteggiante in cui il 90 per cento dell’economia era gestito dal sindacato Histadrut. Già nel 1968, era stato ideato l’Office of the Chief Scientist, ma la legge definitiva per la sua organizzazione risale al 1984.

 

Figura di civil servant che in un paese sotto assedio era stata creata per mantenere l’avanguardia della tecnologia militare, in carica per sette anni e inamovibile dalla politica, il chief servant è appunto un’altra cosa che secondo Botti potremmo importare con successo. Irripetibile è invece l’ondata di un milione di ebrei russi che arrivarono dopo il collasso dell’Urss, fra cui c’erano circa 160 mila tecnici, ricercatori e scienziati. Fu creato un sistema di incubatori di impresa in cui lo stato rischiava l’85 per cento del capitale a fondo perduto, e che era accompagnato da 10 fondi di venture capital, con esperti statunitensi. Dal 1994 al 2016, in un paese da 8 milioni di abitanti, sono così nate 10.500 startup, di cui almeno 400 con un fatturato oltre i 50 milioni di dollari e/o almeno 20 dipendenti. Il 12 per cento della forza lavoro è impiegata nell’hi-tech, anche se Botti ammette che il resto dell’economia israeliana va a marcia ridotta per eccesso di oligopoli.

 

Secondo Spinelli, in Israele ci sono però evidentemente degli “Animal Spirits” che lo statalismo italiano ha da tempo fatto evaporare. Eppure, ricorda, quando negli Stati Uniti andò a chiedere qual era il loro modello dei contratti per il venture capital gli spiegarono che loro non avevano fatto altro che copiare quelli che si usavano nell’Italia del Rinascimento. E anche negli anni 50 gli “Animal Spirits” furono tali da costruire un miracolo economico con livelli di produttività superiori a quelli della Cina di oggi. Non c’è dunque un problema di dna, e in effetti in Italia abbiamo oggi 5.943 startup. La ricchezza generata è dell’ordine dei 244 milioni. Inizia dunque a cambiare mentalità, e Spinelli dà meriti anche al Salva-Italia di Monti e a Renzi. In particolare, con il Patent Box e il Credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, “l’’Italia inizia ad avere una legislazione interessante anche per investitori stranieri. Se solo fosse risolto anche il problema della giustizia civile e non ci fosse più il terrore di non essere pagati”.

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