Per le società israeliane conta solo la dimensione globale. Il segreto del successo? Parlare in inglese

Jonathan Pacifici
In un mondo sempre più interconnesso e globalizzato, la capacità di poter dialogare in tutte le lingue è una necessità, non un bonus. E’ allora anche grazie alle lingue che Israele è diventato un vero hub globale. Ancora una volta, mi sembra che le radici di ciò siano molto antiche.

Nella scuola in cui vanno le mie bambine a Gerusalemme si parlano almeno dieci lingue. Le mie sono trilingue: io parlo loro in italiano,  mia moglie in francese e gli altri in ebraico. Sin dalla prima elementare, hanno iniziato a studiare l’inglese che sarà la loro quarta lingua, privando me e mia moglie dell’ultimo rifugio di privacy. Non sono diverse dagli altri. Hanno un’amichetta che parla ebraico, italiano e svedese, un altro che parla portoghese e inglese. In Israele si parla un numero impressionante di lingue e questo è più che un fenomeno antropologico: è uno strumento fondamentale nell’internazionalizzazione delle aziende israeliane. Come viene spesso ricordato, mentre altrove le società crescono e diventano da locali a multinazionali, in Israele o nasci multinazionale o non vai da nessuna parte. Il mercato interno è infatti ininfluente. Amdocs, il gigante del customer care e billing di Raanana, nel centro d’Israele, serve buona parte degli operatori telefonici internazionali. Oltre 2 miliardi di clienti finali. Ma anche le piccole start up ragionano in termini globali. Questo spiega in primo luogo un’enorme discriminante che c’è tra le start up israeliane e quelle che si vedono altrove.

 

Quasi il 100 per cento delle start up israeliane si occupa di enabling technologies. Di tecnologie o servizi cioè che permetteranno di dare un servizio o un prodotto. Per capirci: ordinare pizze online in provincia di Caserta non è un’enabling technology. Creare la piattaforma per costruire siti (anche per ordinare le stesse pizze in provincia di Caserta), come hanno fatto i ragazzi di Wix.com, è un’enabling technology. Quando crei un’enabling technology, la crei per il mondo intero e spesso hai bisogno di persone che con questo mondo intero ci sappiano parlare.

 

Israele è anche la patria dei più grandi siti online nel campo del gioco online e del forex, l’investimento sulle valute, e delle relative società tecnologiche. Molte di esse sono quotate in Borsa, come 888 o Playtech, presenti sul mercato di Londra.
In un mondo sempre più interconnesso e globalizzato, la capacità di poter dialogare in tutte le lingue è una necessità, non un bonus. E’ allora anche grazie alle lingue che Israele è diventato un vero hub globale. Ancora una volta, mi sembra che le radici di ciò siano molto antiche. Nel Medioevo, gli ebrei parlavano le lingue europee dei paesi nei quali vivevano, ma le scrivevano in caratteri ebraici. Erano un’isola di alfabetizzazione in un mondo largamente analfabeta. Ma era aleph-beth. Abbiamo, ad esempio, numerosi manoscritti in caratteri ebraici nei diversi dialetti dell’Italia medioevale. E’ l’intersezione tra la lingua e il carattere ad aprire un mondo. Infatti è stato possibile per gli studiosi ricostruire la pronuncia di alcuni di questi dialetti proprio sulla base della trascrizione in caratteri ebraici, quasi fosse una sorta di Stele di Rosetta. L’altro pezzo della storia è il vero miracolo della resurrezione dell’ebraico come lingua corrente. Questo miracolo, operato da Eliezer Ben Yeuda, è ancora più evidente nella cacofonia delle lingue parlate per le strade di Tel Aviv e Gerusalemme.

 

Oggi l’ebraico è un collante straordinario per  il popolo ebraico in tutto il mondo. Ed è proprio in Israele che sorgono società come Babylon, il precursore dei dizionari online, Onehourtransaltions, uno dei leader mondiali nelle traduzioni umane online e Bablic.com (full disclosure, una delle nostre società di portafoglio) che consente di riprodurre qualsiasi sito in qualsiasi lingua in poche ore. L’apertura alle lingue è lo specchio di un’apertura mentale verso il diverso, verso l’altro. La Eyron di Ramat Gan è una delle società leader al mondo nell’adattare sistemi chiusi – come i software dei cellulari – in lingue non europee. Tradurre è un conto, cimentarsi con il senso di marcia inverso dell’ebraico e dell’arabo, da destra a sinistra, è un altro. Per non parlare delle lingue asiatiche. Più recentemente, Lexifone ha messo a punto un servizio di traduzione simultanea per telefonate internazionali. Io ho una marea di amici che non parlano altro che il loro dialetto, nemmeno l’italiano. L’Italia è piena di dirigenti che si sentono male quando parli di organizzare una conference call in inglese. Siamo nell’autarchia dell’ignoranza. L’italiano medio ha internet ma non ha modo di interagire con la quasi totalità del sapere, che è in altre lingue. Ha i film in lingua originale a disposizione ma da noi, si sa, il film si doppia. Non si capisce quanto questa ignoranza linguistica pesi sul sistema-paese Italia. E’ un vero macigno sulla mancata internazionalizzazione delle nostre imprese e sulla crescita economica e culturale del Belpaese.

 

C’è una foto a casa di mia nonna alla quale penso sempre quando si parla di lingue. Siamo poco dopo la guerra dei Sei Giorni e la Comunità ebraica riceve un giovane Shimon Peres nella bellissima casa dei miei avi. Nonno Fernando e nonna Mirella sono in conversazione con l’illustre ospite ma c’è un velo di insoddisfazione nell’espressione di nonno. Era nonna con il suo francese a intrattenere Shimon Peres. L’ignoranza linguistica è rimasta per lui una delle maggiori frustrazioni di una vita, altrimenti di gran successo. Dopo le leggi razziali nonno decise di provare a imparare l’inglese in vista di una possibile emigrazione. Fu rifiutato come studente proprio perché ebreo e quell’umiliazione rimase per lui, che pure nella guerra perse il fratello ad Auschwitz, come una delle maggiori ferite. Fu l’ultima cosa di cui parlammo, pochi giorni prima della sua morte, ma la sua voce è ancora con me: “Mi raccomando, le lingue! Impara le lingue!”.

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