Screenshot da Youtube

Gli scacchi presi con filosofia

Ma nessuno giocava a scacchi sul set del “Settimo sigillo”

Enrico Adinolfi

Nella celeberrima scena del film di Ingmar Bergman, la scacchiera è disposta male. Per uno scacchista è un'offesa alla verità e alla giustizia, è una crepa nel muro, ma anche una questione più banale, di mera attenzione. Non di metafisica, ma di psicologia

Sopra Taormina, il bar Turrisi, a Castelmola, è un piccolo gioiello incastonato in uno dei borghi più belli d’Italia: tra arte e natura, per dirla con Goethe. E’ universalmente noto perché, dalle vetrine alle mattonelle, dalla carta del menù alle decorazioni, dai soprammobili alla rubinetteria, è tutta un’esibizione di falli di ogni foggia e dimensione: falli di legno e di ceramica, alati o incappucciati, eretti o a riposo (soprattutto eretti), ai muri o sui tavolini. All’ingresso (anche la maniglia ha una forma fallica) c’è una scacchiera, e i pezzi – non c’è bisogno che lo aggiunga – hanno tutti la stessa, inequivocabile forma. Ma le caselle, la scacchiera, no. E li c’è l’errore. Perché, anziché “avere il bianco a destra” (cioè aver bianche le case h1 e a8, le ultime in basso a destra, appunto), la scacchiera ce l’ha a sinistra. Per giocare bisognerebbe ruotare la scacchiera di novanta gradi e disporre nuovamente i pezzi. E’ un errore elementare, ma comune.

 

Per fare un solo esempio: nella celeberrima scena de “Il settimo sigillo”, di Ingmar Bergman, in cui il cavaliere Antonius Block sfida la Morte a scacchi, la scacchiera è disposta male. Evidentemente, sul set del regista svedese non c’era nessuno che giocasse a scacchi, come, forse, non ce n’è tra i barman del bar Turrisi. Uno scacchista è fatto di tutt’altra pasta. Può non cogliere il significato metafisico della partita di Block, o ignorare la simbologia fallica dei prezzi di Turrisi, ma non può non notare al volo che in h1 ci va il bianco, non il nero. Di più, uno scacchista allenato sa di che colore sono le caselle, senza vederle: tu dici “b4”, lui dice al volo “nera”, tu dici “f5”, lui dice “bianca”, con la stessa rapidità. Una scacchiera storta, per lui, è un’offesa alla verità e alla giustizia, è una crepa nel muro, l’anello che non tiene, uno sbrego nella tessitura dell’universo. Ma è anche una questione più banale, di mera attenzione. Non di metafisica, quindi, ma di psicologia. Se c’è una cosa che gli scacchi allenano, infatti, è l’attenzione, la capacità di tenere lo sguardo su una cosa sola. Con gli occhi del volto, ma ancora più con gli occhi della mente. 

 

(Sono passato per Castelmola lo scorso 19 dicembre. Un credente particolarmente devoto avrà guardato i santi in calendario, il lettore informato avrà passato in rassegna le cronache dall’ultimo Consiglio europeo. Uno scacchista può ignorare valori religiosi e partite politiche in corso, ma non può dimenticare Siviglia, 19 dicembre 1987, l’epica conclusione del quarto match mozzafiato fra i due “Big K”, Anatoly Karpov e Garry Kasparov, ancora una volta vinto dall’azero alle spese del russo, ancora una volta per il rotto della cuffia, ancora una volta entrando nella leggenda).


   

La partita: Karpov vs Kasparov, Campionato del mondo 1987, partita 23, 1-0
Dalla precedente vittoria di Karpov. Dopo l’errore di Kasparov 50.T7f3? il Bianco coglie l’opportunità per concretizzare il vantaggio, e riesce a forzare la seguente posizione, dove una mossa chiave garantisce il punto pieno. Riesci a vederla?

 

 

Di più su questi argomenti: