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il foglio sportivo

Quando Sivori salutò l'Italia a Canzonissima

Fulvio Paglialunga

Nel 1968, l'ex Napoli e Juventus, uno dei più grandi talenti del calcio italiano, decise di dire addio al calcio a soli 33 anni, dopo una carriera segnata da geniali giocate e reazioni impulsive. Un addio improvviso, che si trasformò in uno dei momenti più memorabili della televisione italiana

Napoli-Juventus, qualche settimana prima, era finita in rissa. Punti di sutura e squalifiche per Panzanato e Salvadore, ma soprattutto sei giornate a Omar Sivori, che con un fallo di reazione violento aveva scatenato l’inferno. Sivori ci pensò su, poi dopo qualche settimana disse basta, è tempo di ritirarsi, il fisico non è più quello di una volta, ho trentatré anni e la stessa testa calda di sempre, mi ritiro. Il 20 dicembre del 1968 quasi all’improvviso si chiudeva una parentesi meravigliosa del calcio: Sivori, che indossava la maglia del Napoli e prima aveva indossato quella della Juventus, chiuse il parco giochi, smise di far ammirare il suo calcio dissacrante, i suoi dribbling leggeri, le sue provocazioni. Imbarcò tutto su una nave per l’Argentina e il giorno dopo volle dare l’addio all’Italia, in grande stile. Erano gli anni dei calciatori personaggi, lontani da quelli trasformati in brand globali, l’epoca degli idoli pop che potevi trovare a sorpresa in tv, senza domande mediate dall’ufficio stampa della società, quello personale, quello dello sponsor. Ad esempio, Omar Sivori, era il 21 dicembre, si collegò con Canzonissima, il varietà della Rai abbinata alla Lotteria di Capodanno. Lo annuncia Walter Chiari: “Sivori lascerà l’Italia per sempre, tornandosene in Argentina”. Ammette, il mitico presentatore, che quello non è il terreno di gioco di un campione del pallone, ma dice che tra venti milioni di persone che guardano il programma, qualche milione di fanatici del calcio ci saranno, e non potranno che apprezzare un gigante del genere. C’è una discussione non troppo lunga, ma senza filtri, irripetibile di questi tempi. C’è l’analisi del carattere difficile di un calciatore ineguagliabile ma pure indomabile: trentatré giornate di squalifica prese solo nella parte italiana della sua carriera. “Forse – dice Sivori – dipende dal mio temperamento, dal mio carattere. Reagivo a volte a falli che subiscono tutti i giocatori di calcio, ma io non sapevo contenermi. Però quando ho sbagliato, ho pagato”.
Immaginate il mondo di ora, con il calciatore biasimato per il suo carattere. Bravo, direbbero, e una lunga sfilza di “ma” e altrettante puntualizzazioni. E poi la corsa a stigmatizzare, a ricondurre in canoni calcisticamente corretti. Invece Walter Chiari gli dice così: “Sei di quei giocatori, lo sappiamo, che se prendono un calcio a Bergamo, non dicono: aspetto a Napoli e te lo rendo”. Subito Sivori: “Io penso che la reazione venga subito dopo che tu hai preso il calcio. Altrimenti non sarebbe una reazione, ma qualcosa di premeditato”. Ancora Chiari: “Ed è quello che ti assolve, la subitaneità con cui reagivi”. Assolve, dice. Parlando del fallo di reazione, che se fatto all’istante non è poi così sbagliato. Ma del resto era Walter Chiari, del resto parlava con Sivori, piedi incantati, testa calda, pensieri chiari. Idolo per questo, al punto da potersi collegare con il varietà del sabato sera e salutare l’Italia a modo suo, 57 anni fa esatti.

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