Foto LaPresse
calcio
Basta, per pietà, con le inutili scuse dei giocatori alle curve inferocite
Il rito delle scuse alla curva è diventato un teatrino vuoto: una messinscena di contrizione e rabbia che non produce gioco, non cambia risultati e serve solo a ribadire un cortocircuito grottesco tra tifosi che comandano e calciatori che fingono di ascoltare
Sarò scurrile, ma è l’immedesimazione che me lo impone. Ho bevuto abbastanza per lanciarmi in un’intemerata da fegato e lingua doloranti contro la moda che va tanto tra le squadre in crisi soprattutto in Italia: le scuse dei giocatori alla curva, con tanto di ramanzina di mamma e papà ultras ai figlioletti che avrebbero talento ma non si applicano.
Sono scene ormai stucchevoli, e lo dice uno che pensa che il calcio abbia senso e valore solo per i tifosi, non per i baracconi di Federazioni, Fifa e Uefa, né per gli sponsor o per i diritti tv. Dopo un’umiliante sconfitta i calciatori mettono su la faccia contrita, si guardano l’un l’altro, e iniziano la camminata patibolare verso il settore caldo del tifo. Di solito il capitano ha la faccia tesa, il sopracciglio da “sono incazzato ma dobbiamo reagire”, batte le mani e dice ai compagni “dai”, riprende lo stronzo che si avvia verso gli spogliatoi, si fa vedere mentre gli indica la curva – insomma, vorrai mica scappare?, sembra dirgli. Gli altri trascinano i piedi, hanno lo sguardo della mucca che guarda passare un treno, tentano un timido applauso a chi comunque li ha sostenuti (ma non è detto), ma al primo “tirate fuori le palle” smettono, basiti. Fingono di comprendere la gravità del momento, ma in realtà è chiaro che non capiscono niente, si chiedono se dopo fare una dichiarazione sulla difficoltà di giocare tra i fischi o sul diritto dei tifosi di fischiare, probabilmente pensano alla figa. Poi vanno nella porzione di campo di fronte agli ultras, si fermano con le mani sui fianchi e li guardano. Di solito dal settore partono gli insulti alle mamme, i “vergogna!”, i “non siete degni di indossare i nostri colori”, i “quel gol lo facevo anche io” e gli inevitabili “io mi spacco il culo svegliandomi ogni mattina alle 4 per mille euro al mese, voi prendete milioni per tirare due calci a un pallone”.
La curva ruggisce, chiede una reazione, loro li guardano muti tipo maschio che in quei giorni subisce una scenata dalla fidanzata. Qualche volta gli intellettuali della curva a torso nudo chiamano qualche giocatore più vicino, gli parlano dicendo cose tipo “ci siamo rotti il cazzo” e lanciano ultimatum sul supporto della tifoseria. I calciatori fanno sì sì con la testa, promettono impegno, tornano a testa china ma apparentemente motivati negli spogliatoi. Ci fosse una volta in cui queste ramanzine pubbliche siano servite a qualcosa, capirei la necessità di mettere in scena questo teatrino in cui i tifosi dicono ai giocatori come giocare e i calciatori chiedono ai tifosi di tifare come piace a loro. Peccato che di solito alla partita dopo la squadra cazziata perda di nuovo.