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Il foglio sportivo
Se non c'è il 5-3-2 non c'è la Serie A
Dall'idea di Carlos Biliardo, Antonio Conte ha vinto tre scudetti con la Juventus e ha creato le premesse per gli altri cinque titoli conquistati da Allegri. Il problema è che le versioni successive di questo modulo hanno poco a che fare con l’originale
Una vecchia, ma arcinota pubblicità diceva che, dov’era presente quel prodotto, ci si sentiva come in famiglia. Parafrasando quello slogan si può ben dire che, in Italia, dove c’è 5-3-2 c’è casa. E di 5-3-2, in Italia, ne troviamo in quantità industriale. Nella sola Serie A, a giocare prevalentemente con questo sistema (o con una qualche sua variante, come il 3-4-2-1) sono almeno tredici squadre, fra le quali si debbono annoverare le prime quattro della classifica: Milan, Napoli, Inter e Roma. Quest’ultima non è un’annotazione da poco. Nato infatti come sistemo prettamente difensivo (si aggiunse un difensore in più ai tradizionali quattro, per rendere più solida la fase di non possesso), il 5-3-2 veniva utilizzato da squadre che volevano appunto difendere meglio. Il padre putativo di questo sistema è convenzionalmente individuato in Carlos Bilardo, allenatore dell’Argentina campione del Mondo nel 1986.
Questa struttura consentiva al tecnico sudamericano di guadagnare un difensore in più, potendo schierare un libero e due stopper e, contestualmente, di dare più supporto a Diego Maradona. L’idea fece subito proseliti, tanto è vero che già quattro anni dopo, a Italia ‘90, anche la Germania Ovest condotta alla vittoria da Franz Beckenbauer aveva assunto quella struttura tattica. In Italia i primi tecnici a introdurre questo sistema ad alto livello furono Nevio Scala col Parma e, qualche anno dopo, Mauro Sandreani col Padova. Il primo riuscì a portare il Parma a vette mai raggiunte prima, mentre il secondo condusse il Padova a una promozione in Serie A che mancava da ben trentadue anni.
A dare nuova linfa all’albero del 5-3-2 ci ha però pensato nel nuovo secolo Antonio Conte. Il passaggio a questo sistema durante la stagione 2011-12 fu la premessa per la conquista dello scudetto per la sua Juventus e creò le premesse per gli altri cinque titoli conquistati consecutivamente da Massimiliano Allegri. Sempre con questo approccio Conte vincerà poi la Premier col Chelsea e, di nuovo, lo scudetto con l’Inter. Le vittorie di Conte, ma anche i successi ottenuti a livello nazionale da Gian Piero Gasperini con la sua Atalanta schierata 3-4-1-2/3-4-2-1 convinceranno molti altri allenatori a seguire la stessa strada. Così, come il 4-4-2 a zona del Milan di Arrigo Sacchi, sul finire degli anni Ottanta, generò tutta una serie di epigoni che tentarono di emularne le gesta, anche il 5-3-2 e le sue varianti hanno influenzato il calcio italiano negli ultimi quindici anni.
Il problema, come accade sempre con gli emuli, è che le versioni successive hanno poco a che fare con l’originale. Di conseguenza, il mondo pallonaro italiano (soprattutto nelle serie minori, là dove dovrebbero teoricamente formarsi i giocatori di domani) è stato letteralmente invaso da una serie di 5-3-2 robotici e meccanizzati, con giocate codificate, pilotate dai tecnici. La reinterpretazione migliore di questo sistema, a livello di fluidità e mentalità offensiva, l’ha data l’Inter di Simone Inzaghi. Ma si è trattato della classica eccezione che conferma la regola. In linea di massima infatti chi ha utilizzato questo modulo lo ha fatto in chiave difensiva. Non solo: il sistema con tre difensori centrali e due quinti (i laterali) ha, di fatto, cancellato il ruolo delle ali classiche. Sono così spariti quegli esterni d’attacco vecchio stampo, tutto dribbling, che il nostro calcio un tempo produceva copiosamente (i vari Claudio Sala, Franco Causio, Bruno Conti…) così come sono scomparse le seconde punte di fantasia (i Roberto Baggio, gli Alessandro Del Piero…), fagocitate dalla volontà di utilizzare uno (nel 3-4-2-1) o due (nel 5-3-2) riferimenti offensivi atleticamente prestanti.
Sarà un caso (o forse no), ma da quando il 5-3-2 è tornato in auge, la Nazionale fa fatica a produrre elementi di qualità in grado di creare occasioni da gol sulla trequarti. Se alla perdita dei numeri 7 e 10 aggiungiamo anche il fatto che agli attaccanti venga richiesto soprattutto di venire a giocare incontro, ecco spiegata anche la carestia di 9 in un paese che prima poteva contare su gente come Vieri, Pippo Inzaghi, Gilardino, Luca Toni. Il risultato di questa mutazione genetica? Due mancate qualificazioni consecutive ai Mondiali, spiegabili anche con l’abbraccio letale del 5-3-2. Forse non moriremo democristiani, come preconizzava qualcuno. Il rischio, enorme, è però che, almeno calcisticamente, in Italia si finirà col morire di difesa a cinque.