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il foglio sportivo
“Le ragazze dell'hockey vi stupiranno". Intervista a Nadia Mattivi
Parla la capitana della Nazionale: “Mi piace la velocità dell’hockey: devi pensare a cosa fare con il disco prima che ti arrivi”. E ha fatto cambiare le regole per giocare con i ragazzi
Le ragazze dell’hockey saranno le prime a scendere sul ghiaccio. Per loro i Giochi di Milano-Cortina cominceranno il 3 febbraio alle 14.40 contro la Francia, un giorno prima della cerimonia inaugurale di San Siro. Alle Olimpiadi funziona così, c’è sempre qualcuno che gioca d’anticipo. Questa volta toccherà a loro, nella nuova Arena di Santa Giulia, l’impianto che tutti stanno aspettando. Nadia Mattivi è la capitana della nostra squadra. Una ragazza del 2000 che gioca in Svezia dopo un’esperienza nelle università americane dove, già che c’era, si è presa una laurea alla Boston University. Una ragazza che ha già fatto cambiare le regole del suo sport quando ha chiesto alla Federazione di poter continuare a giocare con i ragazzi. Insomma una che non si ferma davanti agli ostacoli e ha un sogno: “Questa Nazionale vuole scioccare il mondo dell’hockey. Siamo una nazione che non è mai stata al top, ma credo che possiamo arrivarci. Nessuno si aspetterà un’Italia competitiva, ma io sono in Nazionale da dieci anni e una squadra così forte non l’abbiamo mai avuta. Ho viaggiato tanto, gioco con le svedesi tutti i giorni e so che possiamo competere con loro. Saremmo potute andare alle Olimpiadi tanto per partecipare, ma non è questo il nostro obbiettivo”. Una ragazza con le idee chiare che si è avvicinata all’hockey da bambina seguendo il fratello maggiore: “Ho cominciato a giocare a hockey quando avevo quattro anni e basta, non ho più smesso, non ho neanche mai fatto altri sport. Non lo vedevo come una professione, anche perché in Italia era dura e ai tempi non sapevo neppure dove guardare delle partite di hockey femminile… adesso invece è cambiato, ci sono le leghe professionistiche, ci sono le partite online, insomma se una bambina si innamora dell’hockey può trovare una sua strada”.
Nadia viene da Baselga di Pinè dove la sua famiglia gestisce un’azienda che coltiva e distribuisce in tutto il mondo frutti di bosco. Da quelle parti se vuoi fare sport o scii o pattini. Lei ha imparato subito a pattinare con dei pattini da artistico che ha ancora a casa. “L’hockey mi piace perché è uno sport dove devi essere capace di pensare a cosa fare prima che ti arrivi il disco sulla stecca. Devi essere molto veloce nelle decisioni, molto istintiva. E una cosa che mi piace tantissimo è anche la fisicità, è uno sport che va a aumentare la coordinazione, la forza, la velocità, l'intelligenza. Uno sport davvero, davvero completo”. Guardando la velocità a cui viaggia un disco sul ghiaccio, ci si rende facilmente conto di come non esista uno sport di squadra così veloce. “L’istinto gioca una parte importante e lo vedi subito fin da bambino. Credo sia quello che ti porta ad alto livello”. Se poi all’istinto aggiungi l’impegno e la passione, viene fuori il capitano della nazionale. Un ruolo che Nadia aveva già avuto alla Boston University. “È una grande responsabilità e anche un grande onore. Mi è sempre venuto un po’ in modo naturale essere capitano. Non vorrei passare per presuntuosa però certe skills da leader ce le hai fin da ragazzina, fin da bambina. Mi ricordo che fin da quando avevo 10-11 anni ero sempre la ragazza più calma e tranquilla del gruppo. Se c’era da prendere una decisione, cercavo sempre di trovare una soluzione nel modo più diplomatico, ma efficace possibile. Essere capitano alle Olimpiadi è un onore. Dieci anni fa non ci avrei mai creduto. Oggi è un onore, un’emozione e anche una responsabilità perché si sa di dover far bene anche individualmente”. Lei è una che sa prendersi le sue responsabilità: “Quando ho compiuto 14 anni c’era una regola che vietava alle ragazze di giocare in squadra con i ragazzi oltre quell’età. Mi ricordo che ho chiamato proprio in Federazione a 14 anni, ho detto, potreste cambiare la regola? Io vorrei giocare con l’under 16 e mi hanno ascoltata. E poi sono andata per un anno in Svezia nella Lega in cui sono anche ora. Sono tornata a 18 anni e volevo giocare con i maschi di nuovo. E allora ho chiamato di nuovo in Federazione, ho chiesto se si potesse cambiare la regola. E l’hanno cambiata ancora. Adesso le ragazze possono giocare sempre con i maschi. E io credo mi sia servito tanto per diventare la giocatrice che sono adesso”. L’hockey si è trasformato da divertimento a professione quando ha cominciato a giocare all’estero: “Quando sono andata in Svezia a 17 anni, facendo il quarto anno di liceo là, mi sono guardata attorno e ho visto che c’erano ragazze che a 29-30 anni facevano le professioniste. È stato il mio primo click mentale, mi sono detta: allora c’è un movimento fuori dall’Italia. Poi all’Università a Boston ho giocato con tante ragazze arrivate anche in nazionale negli Stati Uniti o in Canada, quella Ncaa è quasi una lega professionistica. Allora ho deciso finisco qui e torno in Svezia, poi è nata anche la lega pro e mi sono convinta ancora di più. Puntavo ad arrivare ai Giochi del 2026 in casa, ma ora so che andrò avanti finché ce la farò”. Il sogno è di ispirare altre ragazzine a giocare a hockey: “La nostra nazionale è giovane, in tante giochiamo all’estero. Possiamo battere chiunque tranne americane e canadesi, ma oggi una ragazzina che ci vedrà ai Giochi potrà accorgersi che c’è un movimento e ci sono delle prospettive. Spero di veder giocare a hockey più ragazzi e più ragazze dopo Milano- Cortina”. In Italia il movimento è quello che è, ma oggi il mondo dello sport non ha confini e le università americane sono diventate un’opzione interessante.
verso i Mondiali nordamericani