Mabèl Bocchi (foto Getty Images)
1953-2025
Mabèl Bocchi è stata ben di più della signora del basket italiano negli anni Settanta
La cestista azzurra è morta a 72 anni. Durante e dopo la carriera è stata capace di farsi ascoltare e di lottare contro le ingiustizie per l’eguaglianza dei sessi
Mabèl Bocchi, occhio all’accento perché lei ci teneva tantissimo, è stata la signora del basket negli anni Settanta, la nostra miglior giocatrice prima che arrivassero sul parquet Catarina Pollina e Cecilia Zandalasini. Il suo albo d’oro parla di 8 scudetti in 9 anni e una Coppa dei Campioni con il Geas di Sesto San Giovanni, oltre ad un terzo posto agli Europei con la Nazionale azzurra a Cagliari nel 1974. Quella coppa con il Geas è stata la prima conquistata da una squadra femminile italiana. Una tappa storica in anni in cui lo sport femminile era dominato dalle ragazze dell’est. Se ne è andata a 72 anni in Calabria dove era andata a nascondersi accanto alla sorella Ambra per riscaldare le sue ossa e perché “Milano era diventata troppo cara per una pensionata senza pensione”.
Mabèl il cui nome completo era Liliana Mabèl Gacielita con due nomi su tre presi dall’Argentina da dove era arrivata la mamma, non è stata solo la prima leggenda del nostro basket femminile, la Dino Meneghin delle ragazze. È sempre stata una giocatrice capace di farsi ascoltare e di lottare contro le ingiustizie per l’eguaglianza dei sessi. Una ragazza di sinistra come le piaceva definirsi che ha trovato tanta amarezza in fondo alla sua vita quando i giornali con lui collaborava l’hanno tagliata senza neppure avvertirla e lei che pure sapeva essere originale anche con un microfono o un computer tra le mani, si era ritirata lontana da quel mondo dove era stata una stella.
Nata a Parma, cresciuta ad Avellino, esplosa a Milano dove è diventata il faro di una delle prime armate invincibili del nostro sport. Aveva amato il pallone fin da bambina quando non giocava con le bambole e si mise a piangere perché un giorno a Santa Lucia le regalarono una cucina in miniatura e non un pallone. Era lunga lunga fin dall’adolescenza e cominciò con la pallavolo, ma poi quando la famiglia si trasferì in Irpinia non trovò squadre di volley e passò al basket e a 15 anni era già titolare in Serie B. Cominciò subito a farsi notare in campo e fuori perché cominciò la lotta del reggiseno che era obbligatorio indossare, ma lei non voleva mettere (“Ero piatta e mi dava fastidio”). Segno da metà campo il canestro della promozione in Serie A e da quel giorno la sua vita cambiò per sempre perché a 16 anni finì al Geas di Sesto San Giovanni che la pagava 220 mila lire lorde al mese, ma le imponeva anche di stare alla pari con gli studi. Una scuola di sport e di vita con compagne di squadra che sono diventate amiche per tutta la vita come Rosy Bozzolo, il suo playmaker.
In campo doveva confrontarsi con Ulyana Semionova che era alta 27 centimetri più di lei. Una montagna da scalare che però ai Mondiali in Colombia le fece un regalo bellissimo. “Prima della partita con la Russia le parlai in latino perché con il russo non avrei saputo da che parte cominciare. Le dissi che se non mi avesse fatto fare brutta figura in campo, mi avrebbero eletta miglior giocatrice del torneo. Stravinsero le russe, ma le fece di tutto per farmi fare bella figura. Evidentemente le stavo simpatica, quando veniva a Sesto la accompagnavo dal parrucchiere, le mettevo lo smalto, la truccavo. Arrivammo quarte e io fui eletta miglior giocatrice del Mondiale e Miss Mondiale insieme a una ragazza coreana”, raccontò in una bella chiacchierata con Gianni Mura qualche anno fa. Mabèl era una rompicoglioni come si definiva anche lei perché aveva sempre in mente una causa per cui combattere: voleva parità di trattamento salariale con gli uomini, chiedeva medico e massaggiatore con la squadra. Divenne una furia quando seppe che la squadra maschile era assicurata per cinque volte tanto rispetto a quella femminile. Insomma lottava in campo e fuori e trovava il tempo per divertirsi coi suoi fidanzati, spesso provenienti dal mondo del basket anche per ragioni di dimensioni.
Il mal di schiena, il ginocchio mezzo rotto, il tendine d’Achille la costrinsero a smettere prima dei 30 anni. Si laureò all’Isef, cominciò a insegnare, restò nel basket per raccontarlo in tv e sui giornali. Perse anche una causa con la Rai per colpa di una testimonianza che definì bugiarda. Rifiutò di posare per Playboy, ma si concesse una parte in “Lui è peggio di me” con Renato Pozzetto e Adriano Celentano. Ha avuto una vita piena, molto felice fino ad un certo punto, fino all’aggressione del male fatale. Ma soprattutto è sempre rimasta se stessa, non è mai scesa a compromessi con nessuno anche a costo di risultare scomoda. Sempre dritta come quando sotto canestro sapeva menare anche gli uomini che le capitavano a tiro.
verso i Mondiali nordamericani