a canestro
Peppe Poeta, l'altra faccia di Messina, prova a conquistare l'Olimpia Milano
Il coach è un Gianmarco Pozzecco più controllato. Sa farsi amare dai giocatori e dai tifosi, anche se, lo ammette sinceramente, la sua carriera è tutta da costruire. Il progetto Messina prevedeva di lasciargli la panchina dalla prossima stagione, i risultati della prima parte dell’anno hanno prodotto un’accelerazione inaspettata
Se Peppe Poeta dovesse scrivere un libro lo intitolerebbe: “Il mio basket gentile”. Il quarantenne nuovo allenatore dell’Olimpia Milano, il tecnico più giovane dell’Eurolega, improvvisamente promosso dalle dimissioni di Ettore Messina, sta al suo ex capo allenatore come Ancelotti sta ad Antonio Conte. Due facce della stessa medaglia, ma due facce completamente differenti. Da una parte il sergente di ferro, dall’altra l’amico dei giocatori. Da una parte l’allenatore che se sbagli ti chiama immediatamente in panchina, dall’altra il tecnico che ti dà una pacca sulle spalle e ti lascia in campo per trovare il ritmo giusto.
Peppe Poeta è un Gianmarco Pozzecco più controllato. Sa farsi amare dai giocatori e dai tifosi, anche se, lo ammette sinceramente, la sua carriera è tutta da costruire. Il progetto Messina prevedeva di lasciargli la panchina dalla prossima stagione, i risultati della prima parte dell’anno con l’Olimpia solo ottava in campionato e a metà classifica in Europa hanno prodotto un’accelerazione inaspettata. Dopo un solo anno da capo allenatore, l’anno scorso a Brescia quando ha portato la Germani alla finale scudetto, Poeta si è ritrovato catapultato a stagione in corso sulla panchina più nobile d’Italia lasciata libera da un allenatore che è stato uno dei migliori, anzi il migliore, della sua generazione. C’è chi lo definisce un predestinato, ma forse è soltanto un uomo fortunato, un uomo che ha saputo costruirsi la sua fortuna. E pensare che una volta smesso di giocare non voleva fare il coach. Chi lo aveva allenato racconta che lui era già un allenatore quando giocava, ma lui assicura di non averci mai pensato. “Poi appena smesso Messina mi ha chiamato a sostituire Pozzecco a Milano e Gianmarco mi ha voluto con lui in Nazionale. Loro vedevano in me qualcosa che io non vedevo in me stesso. Infatti non ho scelto subito di fare l’allenatore, ho deciso di accettare perché quell’anno mi sarebbe servito anche se avessi deciso di fare il manager. Poi mi è piaciuto ed eccomi qui”.
Il suo basket è diverso da quello di Messina. È un basket veloce con tanto gioco in campo aperto per trovare gli spazi. E soprattutto è un basket con il sorriso, senza cambi punitivi. “Non credo esista una ricetta vincente. In panchina puoi vincere allenando come Ancelotti, ma anche come Conte o Allegri. Sono convinto che ognuno deve allenare come se stesso, io alleno da Peppe e ho il mio modo di approcciare il gioco e i giocatori. Il mio modo di allenare è più kind, più gentile. Ho cercato di imparare da tutti gli allenatori che ho avuto e anche da Ettore ho imparato tanto, anche se ognuno ha il suo modo di allenare e per questo credo che ci vorrà un po’ di tempo. È vero che sono qui da inizio stagione, ma una cosa sarebbe stato partire da capo allenatore, un’altra esser stato il vice di Ettore. Non ho una ricetta, io cerco di cucire il basket suo giocatori che ho, di adattare il mio gioco alla squadra. Il mio obiettivo è esaltarne i pregi e nascondere i difetti”.
I giocatori, per ora, hanno reagito alla grande. Tre partite (le prime due quando Messina era influenzato) e tre vittorie. Sa di essere in una zona di comfort: se salverà la stagione di Milano diventerà l’eroe, se non ci riuscirà la colpa sarà dei giocatori e non dell’allenatore. Una posizione invidiabile, anche se lui preferisce sorridere e pensare alla prossima partita senza gettare i pensieri così in là. ”Io mi diverto ad allenare. Da capo allenatore non ne ho mai dovute allenare tre-quattro a settimana, ma provo a prenderle in modo leggero come facevo da allenatore e forse anche per questo sento meno lo stress”. Anche perché il basket rimane un gioco. E andare in campo senza sorriso non sempre produce l’effetto voluto.
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