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L'ascesa dell'Alcione, terza squadra di Milano: “In una parola? Stupore”

Francesco Gottardi

La storia da favola della squadra di quartiere che ce l’ha fatta: prima del 2024 non era mai uscita dal dilettantismo e ora sta esplorando nuovi orizzonti. E s’intreccia davvero con i destini dei top club. "L’obiettivo è salire in B entro tre anni con uno stadio di proprietà", Parlano il presidente Gallazzi e i protagonisti

È la terza via del calcio a Milano, progettualità più simpatia. “Non c’è giorno che non mi fermino per la strada senza gridarmi Forza Alcione”, sorride Giulio Gallazzi, che degli orange è il presidente. “Messaggi, testimonianze, battute sul lavoro. Non solo in città: anche nell’hinterland, fino a Brescia. E non è sempre stato così. È il frutto degli sforzi degli ultimi tempi”. Quelli del professionismo, dell’exploit in Serie C dove la squadra del municipio 7 oggi è in piena zona playoff. “Lo ribadisco: l’obiettivo è salire in B entro tre anni con uno stadio di proprietà, affinché la cadetteria abbia una consolidata realtà meneghina. Il piano per il nuovo centro sportivo è già avviato, a stretto giro vedrà la luce l’impianto di gioco”. Gallazzi sorride: “Risolveremo il problema stadio prima di Inter e Milan. Poco ma sicuro”.

 

La storia da favola dell’Alcione, da squadra di quartiere che ce l’ha fatta – prima del 2024 non era mai uscita dal dilettantismo – ora sta esplorando nuovi orizzonti. E s’intreccia davvero con i destini dei top club. “Il mese scorso ospitavamo l’Inter U23 in campionato: abbiamo perso, ma che giornata di gioia è stata”. Dinamiche da derby. “Com’è il nostro rapporto con le big? Maturo e costruttivo”, racconta il pres al Foglio sportivo. “La vera partita da vincere era divincolarci dalla dimensione amatoriale: cioè riuscire a trattenere i nostri talenti. A lungo abbiamo subito gli approcci dei grandi vivai: non dico che facessero shopping, ma mettevano una certa pressione alle famiglie dei giocatori”. Difficile resistere alle lusinghe. “Dovevamo creare quell’identità, quell’orgoglio che ci permettesse di poter dire anche di no. E far capire al calcio che non siamo più una miniera-satellite: non vogliamo finire come la Lodigiani a Roma. Oggi le due milanesi, insieme all’Atalanta, sono state le prime ad assumere verso di noi un atteggiamento di sano rispetto e collaborazione”.

 

L’Alcione gioca, dunque esiste. “Faccia aperta, palla a terra, ogni domenica per vincere. I nostri highlights sono tra i più seguiti della Serie C”. E Gallazzi, che oltre al calcio è un volto della finanza internazionale, può contare su un’amicizia preziosa. “Beppe Marotta. Lo conosco da anni, ci sentiamo spesso, s’informa del nostro percorso. Quando ho bisogno di consigli o di migliori interpretazioni di un mondo complesso come quello del pallone, non manco di chiedere a Beppe. Anche sullo stadio. Al di là della simpatia, è una persona di tale conoscenza ed esperienza che soltanto avere l’opportunità di confrontarmi con lui arricchisce l’Alcione. Oggi stiamo creando le basi per la nostra seconda fase di sviluppo: rafforzarci tra i professionisti e diventare un punto di riferimento per l’intera filiera giovanile, fra territorio e collaborazioni internazionali”.

 

Perché ben prima dell’attualità, gli arancioni poggiano su un passato illustre, sia pur di nicchia. Tra i predecessori di Gallazzi ecco l’ex sindaco Tognoli ed Ernesto Pellegrini, storico patron nerazzurro. Tra i calciatori celebri? “Beppe Dossena, che ospiteremo presto. Stefano Moreo, che oggi sta facendo tanto bene al Pisa. E l’affezionatissimo Nicolò Rovella”. L’Alcione lascia il segno. Anche chi c’è oggi racconta una dimensione altra di questo sport: “Avvertiamo la responsabilità di essere la terza squadra di Milano”, interviene Paolo Chierichetti, difensore-protagonista della cavalcata dalla D alla C dopo essere cresciuto nelle giovanili dell’Inter. “Mi allenavo con Gnonto, Casadei, Fabbian: fenomeni assoluti. Poi qui all’Alcione ho scoperto un senso di appartenenza impensabile, alimentato dall’ambizione e da un marchio sempre più forte. Vesto questa maglia da quattro stagioni: siamo partiti dai campi di patate in provincia, ora abbiamo battuto il Brescia al Rigamonti. Brividi, a ripensarci”.

 

Ad appena 22 anni, Chierichetti è già una bandiera del presente. “Momenti clou? Sul piano personale il gol segnato a Vicenza: il mio primo fra i professionisti, in un altro stadio storico. Per la squadra dico invece il cerchio umano che abbiamo formato in mezzo al campo alla fine della scorsa stagione: un simbolo di forza e compattezza, tra giocatori e società, tutti uniti verso l’obiettivo. È così che s’innescano i cicli virtuosi”. Anche quando in casa si continua a giocare davanti a famiglie e amici, mentre in trasferta rimbomba il tifo organizzato delle grandi piazze. “Dopo quella vittoria a Brescia”, di nuovo il presidente Gallazzi, “sono sceso negli spogliatoi per congratularmi con i ragazzi. Festeggiavano, ma in pieno stile Alcione: vincere con rispetto, perdere con dignità. Allora ho ricordato loro da dove siamo venuti, esortandoli ad assaporare dove siamo arrivati. Questa è la sensazione che rappresenta l’Alcione: lo stupore. Guardi questi colori e trovi una formula che sta funzionando. Così viene sempre più voglia di andare avanti, investire tempo e risorse”. Scoprendosi commossi, laddove brillavano Baggio e Mazzone e oggi quella luce irradia un pezzo di Milano.

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