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il foglio sportivo
Ecco come Spalletti può salvare sé stesso e la Juventus
L’ex commissario tecnico della Nazionale ha l’occasione per il riscatto immediato, ma non avrà la qualità a cui era abituato
Intirizzito per le due ore spese invano sotto la pioggia di Oslo, Luciano Spalletti aveva preso coscienza che la sua avventura con la Nazionale era finita. Lo sguardo vitreo che lo avrebbe accompagnato nei giorni successivi, quelli trascorsi da dead man walking a causa di un esonero vissuto nel bel mezzo delle due settimane di ritiro azzurro, con un’altra partita da affrontare e sul letto la valigia già pronta, ha rappresentato per mesi l’ultima immagine del suo passaggio da commissario tecnico. Un uomo svuotato, devastato dai suoi stessi errori. Proprio lui, abituato per natura a essere incendiario, amante viscerale del lavoro di allenatore e di condottiero di un gruppo di uomini, aveva dovuto fare i conti con la più amara delle verità: l’incapacità improvvisa di entrare in sintonia con un collettivo. Chissà, forse per qualche settimana si è persino sentito fuori contesto.
Dal 2010 a oggi, non c’è commissario tecnico azzurro che sia stato capace di uscire senza le ossa rotte dall’avventura a Coverciano, a eccezione di Antonio Conte. Per Cesare Prandelli c’è un prima e un dopo l’esperienza del Mondiale brasiliano; di Gian Piero Ventura si torna a parlare soltanto quando è egli stesso a farci sapere che avrebbe meritato di più dalla critica; lo strappo arabo di Roberto Mancini, arrivato dopo il mancato pass per il Qatar, ha finito per oscurare addirittura la vittoria di un Europeo. Adesso sta all’uomo di Certaldo dimostrare che non ha smarrito il tocco, che in fin dei conti ha vinto l’ultima Serie A alla quale ha preso parte, che negli ultimi vent’anni, provando a gettare un velo su quanto è accaduto alla guida della Nazionale, non ha mai sbagliato un colpo, mai mancato un obiettivo. Era garanzia di qualità, Spalletti. Garanzia di un posto in Europa, in Champions, di una lotta scudetto da affrontare anche quando non tutti gli elementi erano al posto giusto. E in questa Juventus malandata che raccoglie in corsa, di pezzi perfettamente incardinati se ne vedono pochi. La certezza si chiamerebbe Bremer, ma il leader della retroguardia juventina è ancora fermo ai box. E allora, da dove ripartirà il buon vecchio Lucio, scalpitante all’idea di tornare a vivere giornate sempre piene dopo averne trascorse tante (troppe?) nelle quali cercare faticosamente qualcosa da fare?
È un allenatore, non un selezionatore, e si è visto. Si ritrova in una situazione simile a quella del suo ultimo approdo romanista, anche se lì c’era una base tecnica di livello più alto e uno scoramento maggiore per la vastità del talento scialacquato. Ma anche lì ci furono guizzi degni di nota: la trasformazione di Diego Perotti in un centravanti di manovra, anche a costo di rinunciare a Edin Dzeko e ingaggiare un duello rusticano con Francesco Totti; l’esaltazione definitiva di Radja Nainggolan nei panni di devastante guastatore a ridosso della punta; la celebre “difesa a tre e mezzo”, concetto meno innovativo di quanto si possa pensare, banalmente un terzino di spinta e uno bloccato. Ma Spalletti, che ha portato di peso il termine “braccetto” nel discorso quotidiano di un calcio in continua evoluzione, è abile anche in questo, nello stupire gli avversari con alchimie più semplici di quanto non sia il vestito con cui le agghinda.
Di uomini da risollevare, a Torino, non ce ne sono pochi. Uno su tutti, Teun Koopmeiners, che sembrerebbe fatto dal sarto per i panni di trequartista con libertà di inserirsi e calciare. E se c’è una cosa che Spalletti sa fare, è far schizzare alle stelle nei suoi giocatori il livello di autostima. Dal lavoro che saprà condurre sull’olandese potrebbe passare buona parte del suo futuro bianconero, aggrappato in maniera implicita alla necessità di trovare un posto in Champions League al termine della stagione. Sarebbe folle poter pensare a qualcosa di più, almeno in questo momento, anche se la parte altissima della classifica sembra soggetta ai mutamenti. In un campionato in cui pare estinto il centravanti – consultare la classifica cannonieri per eventuali verifiche – il tecnico toscano si ritrova ad averne tre in rosa, proprio lui che ha a lungo amato reparti d’attacco in cui il teorico numero nove portava sulle spalle il dieci. L’altro grande bivio è la scelta dell’uomo al quale affidarsi lì davanti: Vlahovic, Openda, David, una maglia (a meno di innovazioni che sono sempre dietro l’angolo) per tre, finora nessuno davvero convincente fino in fondo, e non necessariamente per motivi legati al campo.
Non avrà a disposizione un centrocampo all’altezza delle sue squadre passate, perché quello bianconero non sembra particolarmente ben assemblato: detto di Koopmeiners, dovrà trovare la collocazione ideale per Thuram e soprattutto Locatelli, definito un anno e qualche mese fa “un po’ troppo conservativo per dove sta andando il ruolo” di regista. Con ogni probabilità, però, sarà proprio lui a ricoprire quel ruolo da sempre fondante nelle sue squadre, con i vari Pizarro, Brozovic e Lobotka che parevano un’emanazione del tecnico in mezzo al campo.
Ma la sfida principale sarà quella di Spalletti con Spalletti stesso, un duello dell’anima che il toscano, reduce da una lunghissima serie di mea culpa in merito alla parentesi da ct, dovrà vincere a tutti i costi. Sono passati pochi mesi dalla sua ultima panchina, eppure sembra una vita. Se ha già interiorizzato il fallimento per farne benzina, allora la Juventus potrà tornare a volare in breve tempo, nutrendosi delle fiamme che il suo sguardo riesce a emanare. Al momento del suo secondo arrivo a Roma, nel 2016, la foto di una stretta di mano con Maicon fece il giro del mondo: dentro c’era la faccia di un uomo pronto a sbranare tutti pur di riprendersi il palcoscenico della Serie A. Se invece, in breve tempo, dovessimo ritrovarlo con l’occhio vitreo del post Oslo, sarebbe un problema per lui e per la Juventus.
Olive s4 e8