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Il foglio sportivo

Il telefono in barca non è reato. Vittoria legale e bronzo restituito a Perini

Francesco Gottardi

Dopo più di un anno dai Giochi paralimpici, è stato accolto il ricorso dell'atleta azzurro che era stato squalificato al termine della gara di canottaggio. "E' arrivato finalmente il momento di festeggiare", dice il suo avvocato

Una medaglia storica, la più tardiva per l’Italia a Parigi 2024: è arrivata oggi, a più di un anno dai Giochi paralimpici. Ed è la lunga strada che ha portato Giacomo Perini a vincere il bronzo nel singolo maschile PR1 di canottaggio, dopo la squalifica decretata dagli arbitri all’arrivo per via dello smartphone trovato nella barca dell’atleta azzurro. Una beffa bruciante, perché Perini se l’era dimenticato a bordo senza rendersene conto. E dunque senza averlo usato mai. “Questa è stata da subito la nostra linea difensiva”, spiega al Foglio sportivo Federico Venturi Ferriolo, l’avvocato di LCA Studio legale che ha assistito il 29enne romano e il Comitato italiano paralimpico di fronte al Tas di Ginevra. “È stato difficile, la questione legale era intricata. Abbiamo dimostrato l’assenza di alcun uso del cellulare: ci abbiamo creduto tutti, dal presidente Pancalli in poi. E per Giacomo è finalmente arrivato il momento di festeggiare”.

 

È stata una battaglia legale logorante, fino all’ultima udienza durata otto ore. Man mano che si procedeva lungo i vari gradi di giudizio, c’è stata però la sensazione che qualcosa potesse cambiare: il verdetto su Perini è passato dall’uso al possesso non consentito, quindi all’annullamento delle decisioni precedenti, accogliendo il ricorso azzurro. E il Tas è il non plus ultra della giustizia sportiva. “A prima vista sembrava una storia inverosimile: è stato pesante innanzitutto per Giacomo, in pasto al linciaggio mediatico, all’estero gli hanno dato subito dell’imbroglione”. Ma per fortuna non qui. “Il Cip ha sempre creduto alla versione di Perini, alla sua buona fede. E non ci ha pensato un attimo a tutelare la dignità dell’atleta. Arrivando a esporsi parecchio: c’erano in ballo dinamiche internazionali, il ranking del medagliere, i rapporti da tutelare con la Federazione internazionale di canottaggio. Invece il Comitato si è fatto carico dell’intero processo, fino alla richiesta dell’assegnazione della medaglia all’Ipc da parte del presidente De Sanctis”.

 

E arriviamo alla soluzione del caso. “Abbiamo depositato il parere tecnico forense, che analizzando lo smartphone ne ha certificato la totale passività durante la gara. Il lavoro decisivo è stato però contestare l’ampiezza della norma”. Cioè il testo regolamentare della World Rowing, che proibisce ogni tipo di comunicazione e utilizzo di dispositivi elettronici. “Ma non di per sé il possesso”, puntualizza Venturi Ferriolo. “Perché gli arbitri non avevano controllato il cellulare? Che dire invece degli smartwatch, posseduti da altri atleti nel corso della finale? C’è una mancanza di uniformità normativa: un tema importante anche in termini di diritto. E l’accusa invece – attorno al team australiano andato a podio al posto dell’azzurro, ndr – non ha potuto dimostrare che Perini abbia utilizzato il telefono a fini competitivi”.

 

Il riassegnamento della medaglia in sede legale rappresenta un caso eccezionale: di solito prevale infatti il criterio del “field of play”, cioè della valutazione tecnica presa durante una gara. “Qui invece c’è stato un provvedimento disciplinare successivo, fondato sull’interpretazione erronea di una norma. Il fatto dunque non sussiste. Anche durante l’udienza al Tas, Perini non ha mai mollato: è stato un lungo post gara affrontato da una persona in grado di vivere le sfide in maniera diversa. E infatti ha esultato come se fossimo ancora a Parigi”. Un urlo libero, dopo dodici mesi di rincorsa.

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