Ansa

La grande sostituzione

Il terzo livello del Var

Maurizio Crippa

Come la storiella della mafia, ma non lo trovavano perché lo cercavano nel posto sbagliato. Il problema non è la tecnica che disumanizza, è la qualità degli umani alla manovra. Quelli bravi spiegano che in realtà è tutta colpa dei regolamenti contraddittori. Come diceva Pasolini: io so, ma non ho le prove

Eh, caro il Giuan… vorrebbero dire in tanti al gran Brera fu Carlo, il Var ha distrutto il calcio. Ma non avendo più a disposizione il Giuan, andrebbe bene anche il vocione nebbioso del saggio dei saggi, il Dino Zoff: “Se si usa il Var per ogni stupidaggine allora il contatto sparisce dal calcio. Serve equilibrio”. Provate a dirlo a Conceição se era una stupidaggine. La vittima domenicale di proditorio “step on foot” sotto gli occhi ti vedo-non ti vedo dell’arbitro Colombo cui la tecnologia ha misteriosamente negato un paio di occhiali elettronici (“Omino nero mettiti gli occhiali!” si gridava dalle gradinate a culo gelato degli anni Cinquanta). O ditelo a Mkhitaryan, turlupinato da Di Lorenzo, se l’occhio palesemente sbilenco del guardalinee Bindoni in sostituzione dell’arbitro Mariani impegnato a farsi i fatti suoi poteva decidere un rigore. Intanto che al Var si facevano a loro volta i fatti loro, e di prestare l’occhio di vetro ai due omini gialli cecati manco hanno pensato. E via con la Via crucis, mezza dozzina a giornata. Eh sì, caro Giuan, dicono che la tecnologia applicata allo sport è disumanizzante, la cosa più scema che gli umani potessero applicare al calcio.

 

Sarà. Ma prendete il Bindoni. Daniele Bindoni, guardalinee. “Coi super poteri”, l’hanno giustamente perculato. Se al posto di Bindoni, il guardalinee astronomo che forse ci vede solo col telescopio, ci fosse stata una banale macchinetta elettronica, zac!, avrebbe visto giusto e non si sarebbe mai sognata di avvisare in ritardo il suo capo di un rigore inesistente. E’ la tecnologia disumanizzante che ha rovinato il calcio, o sono gli arbitri che guardano le stelle? Il Var avrebbe dovuto ridurre gli errori, rendere oggettive le decisioni. Qualcosa non ha funzionato. Ma a occhio e croce non le macchine, bensì gli umani che le manovrano. Il rigore non dato ai bianconeri è stata la più tipica e indigeribile delle “compensazioni arbitrali”, roba dei tempi bui di Concetto Lo Bello: un minuto prima il cecato aveva preferito non vedere l’espulsione di McKennie. Buonafede? Come diceva Pasolini: io so, ma non ho le prove.

 

Secondo gli esperti la tecnologia ha reso più indecidibile la valutazione dei falli, rivedere pixel dopo pixel  ogni azione falserebbe la realtà. Doveva essere il livello della giustizia suprema, la Cassazione del fallo da rigore. Invece il Var per come è usato o non usato in Italia è tutt’altro. Più che a una camera oscura fotografica somiglia a una opaca camera di compensazione, di aggiustamento o aggravamento, molto sospetta. Assomiglia maledettamente al mitico “terzo livello” della mafia, il livello che “stava sopra” al mandante del mandante del boss dei boss. Quello che però non lo trovavano mai. Be’, verrebbe da dire che non lo trovavano mai perché lo cercavano nel posto sbagliato, a Palermo o nella villa di Dell’Utri. Invece stava in sala Var. Io lo so, il resto chiedetelo a Pasolini.

 

Però, secondo le statistiche, le tecnologie hanno diminuito gli errori dell’80 per cento. Quindi meglio di niente, no? Meglio un occhio finto che due occhi strabici. Il problema non è la tecnica che disumanizza, è la qualità degli umani alla manovra. Quelli bravi spiegano che in realtà è tutta colpa dei regolamenti contraddittori (qui il Var non può parlare, là invece sì) e questo spiega perché uno step on foot no e una spintarella sì. Sarà. Ma non soltanto i tifosi, persino il pubblico più apatico, se gli chiedessero di scegliere tra un guardalinee ChatGPT e un umano astrologante, non avrebbe dubbi. La grande sostituzione degli omini gialli è il futuro dello sport.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"