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CHIAVE DI A - COME SUONA IL CAMPIONATO
Gli attaccanti stanno diventando mosche bianche
L’astinenza è comune a tutti gli obiettivi: forse ci si renderà conto che esaltare il gioco sparagnino, i miracoli dei portieri e le difese robuste alla fine sfugge di mano. E Gasperini è costretto far giocare Dybala "falso nove" per l'insipienza dei suoi due centravanti
I quattro zero a zero in nove partite hanno un retrogusto anni Ottanta, di Serie A a sedici squadre, le radioline, Paolo Valenti che legge i risultati a 90° Minuto. Quote popolari anche questa settimana, il 13 non può pagare così tanto: anche dove per caso si segna, nessuno esagera. Ore e ore di rubinetti asciutti, senza una rete: niente, nulla, deserto. Lontano forse ci sarà una terra promessa, ma non è più la stessa: “Chi supera il deserto per trovare salvezza, c’è solo deserto tra noi e la salvezza”, rappava Clementino. L’astinenza è comune a tutti gli obiettivi: forse ci si renderà conto che esaltare il gioco sparagnino, i miracoli dei portieri, le difese robuste alla fine sfugge di mano, e chi gioca d’attacco (o anche solo senza lentezza) sta diventando una mosca bianca.
Primo non nuocere, insomma, come una mano di tressette a perdere: assurdo scandalizzarsi se Gian Piero Gasperini, disperato per l’insipienza dei suoi due centravantoni, sceglie Paulo Dybala quale apice offensivo, chiamandolo “falso nove”. No, la Joya è un 9 di quando non bisognava essere montagne di muscoli per segnare caterve di goal: Paolo Rossi, Filippo Inzaghi, Giacomo Raspadori. Centravanti tecnici, prime punte vocate alla porta, da non snaturare come è accaduto all’argentino, da quando (settembre 2014) a Napoli mandò in goal tutto l’attacco, anziché risolverla da sé.
Eppure, se c’è un lunedì in cui Enzo Jannacci non può intonare “zero a zero anche ieri ‘sto Milan qui” è proprio questo: la squadra di Massimiliano Allegri - seppure sfruttando un rigore dubbio - due goal li ha realizzati, esattamente come il Bologna camaleonte e il Como giochista, che si permette di sostituire la mezzala Maxence Caqueret con il centravanti Tasos Douvikas quando è già in vantaggio. Al modo della cinica Inter, segnare subito aiuta a incanalare la gara e gestire la resistenza: Ange-Yoan Bonny per Nicolò Barella contro la Cremonese, Barella per Bonny a Roma riassettano il team di Cristian Chivu, così eguale e così differente dal periodo di Simone Inzaghi.
Il vero segno dei tempi è la diatriba post match tra Igor Tudor e Cesc Fàbregas, con il primo che accusa il secondo di “fare il mercato del Como”, ovvero di ottenere i calciatori richiesti grazie all’ingente plafond economico a disposizione: è vero che, nel vigore della old economy, una volta i Nico Paz sarebbero andati a Torino senza passare dal via. Ma è altrettanto puerile scoprire oggi che la globalizzazione - anche sportiva - è una rivoluzione che non fa prigionieri, né lascia intatti i rapporti di potere pur storicizzati. “It’s like a new generation calling, can’t you hear it call?” (Brett Anderson, rifinitore degli Suede).
Comunque andrà a finire la stagione, Giovanni Simeone la ricorderà a lungo, come quella dei 17 goal a Verona, e quelle consimili (ma mai consecutive) a Genova, Firenze, Cagliari: prima il goal vittoria all’Olimpico, poi il bis romano, ora la rete che per una domenica stende il suo ex Napoli acciaccato: è la rivincita del figlio, verso un padre che non ha mai allenato in Serie A e tutte le critiche che, appunto, seguivano le prestazioni senza costrutto dopo i campionati trionfali del “Cholito”. Un po’ come Frances Bean Cobain, di tanto in tanto risalita nelle cronache, alla quale il padre Kurt dedicò “Frances Farmer will have her revenge on Seattle” attraverso l’intermediazione dell’attrice omonima: “È così confortante sapere che te ne vai appena ti pagano”, introducevano i Nirvana, prima di ricordare che “she’ll come back as a fire”. Mai dare per spento il figlio di Diego.


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