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Il Foglio sportivo

Come è triste e solitario Jacobs

Alessandro Catapano


Dentro la crisi del velocista tra Fidal, le scelte sbagliate e le gelosie. Da un lato il trastullo del dolce far niente e dall'altro l'istinto a ribellarsene, a provare a scrivere un finale diverso della sua storia sportiva

Sospeso, tra il fascino di una vita raminga e il richiamo della foresta, di cui un tempo – brevissimo ma accecante – fu re, mentre oggi da vecchio leone sta ai margini a guardare gli altri animali rincorrersi. Con gli occhi acquosi della nostalgia, per il tempo fuggito veloce, troppo veloce perfino per uno come lui. Sospeso, Marcell Lamont Jacobs, tra il trastullo del dolce far niente e l’istinto a ribellarsene, tra l’illusione di una vita con meno sacrifici e la voglia, forse perfino la necessità di sterzare da questo sunset boulevard che ha imboccato, di provare a scrivere un altro finale della sua storia sportiva, non questo triste e solitario. E anche noi che ricordiamo esattamente dove eravamo quattro anni fa, quando un italiano divenne l’uomo più veloce del mondo, e ancora oggi solo dirlo fa impressione, in fondo non accettiamo che la storia di questo grande personaggio sia arrivata già al capolinea. 


E allora, ci fa male pensare a Marcell Jacobs come allo Stan Laurel vecchio e scordato da tutti del capolavoro di Osvaldo Soriano. Nel romanzo, Laurel, ormai orfano di Ollio, ingaggia un disilluso Marlowe, perché scopra il motivo di questo oblio. Il nostro Jacobs, invece, più che assoldare un vecchio investigatore, dovrebbe innanzitutto pensare a scegliere un nuovo allenatore. Che sia americano, italiano o di qualunque nazionalità voglia, ma che sia presente, diamine, a se stesso e a Jacobs. Che non lo abbandoni sul più bello, per rincorrere ingaggi in Cina. E, ce lo consenta, sia anche presentabile, perché il buon Rana Reider, già in passato coinvolto in una storiaccia di molestie (che, tanto per dire di un’anomalia, non gli consente di avere l’accredito per gli eventi cui partecipano i suoi atleti), sembra esserci ricascato. E allora, meglio dirgli bye bye, no? 


Ammesso che Jacobs abbia davvero intenzione di continuare. Dicono, in molti, che è costretto a farlo, se vuole mantenere lo stile di vita che ha assunto in Florida e di cui ci rende edotti attraverso i suoi social: orologi da decine di migliaia di euro, un parco auto da industriale, viaggi esotici con family (l’ultimo, in questi giorni, a Hong Kong). Ma il fisico è provato da mille rincorse e infortuni e il cuore, beh, spezzato da un Mondiale corso da anonimo e vissuto da separato in casa. Con la Federazione il rapporto non è mai stato facile, nonostante negli ultimi quattro anni gli abbia riconosciuto uno stipendio da circa duecentomila euro di media.

La scelta di andare a vivere negli Stati Uniti, di affidarsi a un tecnico chiacchierato e superato, le comunicazioni con lo staff tecnico federale sempre più rare e complicate. Sembra incredibile, ma dall’oro di Tokyo in poi Jacobs e la Fidal hanno fatto di tutto per perdersi e, soprattutto, per svilire un talento eccezionale. Le tappe di avvicinamento all’ultima rassegna iridata sono state un disastro: rientrato a Desenzano, i contatti con i tecnici federali – racconta Marcell – sono stati catastrofici. Si è sentito sopportato, se non proprio abbandonato. E a Tokyo ha scoperto che Gimbo Tamberi, l’amico che lo aspettava al traguardo dei cento olimpici per un abbraccio che ha fatto la storia, si era appena lamentato con lo sponsor tecnico che hanno in comune (che a Jacobs riconosce un milione e mezzo di euro l’anno) perché, a suo dire, lo sprinter aveva più visibilità di lui. Sedotto, abbandonato, e pure tradito. Così è davvero troppo triste e solitario.
 

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