
LaPresse
Il foglio sportivo
“Ci chiamavano sciacalli”
Pallavicino racconta in un libro la sua tripla vita tra Ronaldo, Baggio, Borgonovo & c. Il giornalismom l’amicizia con Branchini e il sito sul mercato venduto a 10 milioni di euro a TPG Capital
Se vuoi davvero qualcosa fai lavorare il cervello. Tutto diventa possibile. Per l’impossibile, ingoia il pudore e rompi i coglioni all’infinito”. Fedele al consiglio ricevuto da sua madre quand’era ancora liceale, Carlo Pallavicino ha attraversato con ottimi risultati almeno tre vite: giovane giornalista, procuratore di calciatori di Serie A ed editore di calciomercato.com, poi venduto per poco meno di 10 milioni di euro a TPG Capital, fondo americano di private equity. Le racconta tutte e tre, con netta prevalenza di quella da procuratore, in "Ci chiamavano sciacalli", appena uscito per Baldini+Castoldi, “tentativo di romanzo di formazione – dice al Foglio Sportivo – di un ragazzino che si ritrova nella giungla del mercato”.
Pallavicino, lei inizia da giornalista-bambino appendendo risultati e pagelle nel bagno dei dipendenti di suo padre. Questa malattia per il calcio l’ha aiutata a fare bene anche il procuratore?
“Penso proprio di sì. Chi sceglie questo mestiere sogna di oltrepassare il cartello che vieta l’accesso ai non addetti ai lavori. Non bisogna però esagerare con l’immedesimazione: il giocatore cerca dal procuratore anche professionalità e distacco, non vuole avere accanto un tifoso. Commisi quell’errore con Benny Carbone, e quando mi lasciò per un altro procuratore mi diede la mia prima ferita”.
Il titolo del libro già dice molto. Spesso chi opera nel calciomercato si porta dietro un’aura poco edificante. Le è capitato invece di essere testimone di comportamenti umani, sinceri, generosi?
“Pur di indossare la maglia del Livorno, la sua città, Cristiano Lucarelli rinunciò a una cifra enorme e alla Serie A. Prima ancora, Sebastião Lazaroni per me è stato un fratello maggiore che mi ha aiutato a capire questo mondo pur venendo da un altro continente. Con Giovanni Branchini, infine, siamo stati soci per trent’anni senza mai litigarci un euro, il che è abbastanza straordinario”.
C’è qualcosa che si pente di avere fatto?
“Ho preso un po’ sottogamba gli ultimi anni da procuratore: non è un mestiere che si può fare all’80 per cento. Me lo fece notare Leonardo quando andai a rinegoziare il contratto di Sirigu negli uffici del Paris Saint-Germain: non ricordavo quante giornate mancassero alla fine del campionato e mi resi conto che stavo vivendo tutto con eccessivo distacco”.
Il distacco che l’ha portata a smettere. Come ci era arrivato?
“Il giornalismo è stata la mia vera passione e quindi l’esplosione calciomercato.com, avvenuta negli anni Dieci, è un po’ combaciata con quel calo di attenzione. Fare il procuratore ti consuma molto. Avevo cominciato che ero più giovane dei calciatori e mi ritrovavo più vecchio dei loro genitori. Non avevo più l’emozione di alzarmi la mattina e andare alla conquista del mondo. Oggi il calcio lo seguo con più freddezza. Fin da bambino ho aspettato la domenica per tutta la settimana, incredibilmente oggi non mi manca”.
Cosa farà ora?
“Cercherò di fare tutto quello che non ho fatto nelle domeniche della mia vita. Mi piacerebbe lavorare nella solidarietà, aiutare dei giovani attraverso le esperienze che ho fatto nel calcio. Ci sono ragazzi che arrivano qui in Italia e che ovviamente sono in una situazione di difficoltà, mi piacerebbe aiutarli attraverso il calcio a inserirsi in un paese e in una realtà completamente diversi. Sicuramente non lo farei per trovare un nuovo campione”.
Tornando ai giocatori, chi si è comportato peggio con lei?
“Marchisio preferì farmi dire da suo padre che non voleva più lavorare con me. Era il mio giocatore più promettente, preso in procura a neanche diciotto anni nel vivaio della Juventus. È un episodio che mi ha molto toccato perché non me lo aspettavo. Ma nel mondo del calcio i colpi bassi vanno messi nel conto”.
Qual è stato invece quello per il quale ha lavorato meglio?
“Sento di avere messo un valore aggiunto nell’organizzazione della partita per Stefano Borgonovo al Franchi. C’erano molte difficoltà: coinvolgere Fiorentina e Milan, recuperare tutti i giocatori di un tempo e soprattutto fare in modo che lo stadio si riempisse per onorare il coraggio di Stefano di esporsi e raccogliere soldi per creare una fondazione che avesse per scopo la ricerca contro la Sla”.
Nel libro racconta di essersi domandato come avrebbe agito al posto di Antonio Caliendo, il procuratore di Baggio: portarlo alla Juve come meritava il suo talento o lasciarlo crescere a Firenze dove era felice? Che risposta si è dato?
“Antognoni è rimasto a Firenze quando non c’era lo svincolo. Per Baggio lo svincolo c’era, e al termine del contratto il giocatore rimaneva senza squadra. Era subentrata l’esigenza di avere il massimo dalla propria carriera, economicamente e professionalmente. La Fiorentina era in fase di smobilitazione e i Pontello stavano vendendo la società. Caliendo lo aveva già venduto al Milan, poi ci fu il pressing di Agnelli sui Pontello che fece cambiare le cose. Baggio è stato un senza patria, sicuramente molto condizionato dal suo procuratore. Ha sempre vissuto una certa precarietà, legata anche ai problemi fisici, che secondo me non gli ha mai permesso di essere totalmente rilassato, spavaldo come era Vialli”.
Il libro è anche il racconto di prima mano di alcuni momenti chiave del calcio italiano degli ultimi quarant’anni. Lei era a casa Moratti quando venne definito il passaggio di Ronaldo all’Inter. In quel momento si è reso conto che si stava facendo la storia?
“Per me ci sono un prima e un dopo Ronaldo. A Barcellona faceva cose che non avevamo visto fare a nessuno. Forse a Maradona, ma i ruoli erano diversi: uno a tutto campo, l’altro andava dritto in porta. Quando con Branchini vedemmo l’amichevole del Brasile contro la difesa italiana di Cannavaro, Maldini e Nesta, capimmo che aveva superato un banco di prova fondamentale. Entrava nella nostra difesa come Mosè tra le acque del mar Rosso. Ho avuto chiara la percezione che fosse il più forte giocatore che avremmo mai potuto assistere in vita nostra”.