
Gianmarco Tamberi e Marcell Jacobs durante la tappa di Roma della Diamond League (foto LaPresse)
Uniti nella vittoria, uniti nella sconfitta: Jacobs e Tamberi, due modi diversi di affrontare una crisi
Quattro anni dopo le Olimpiadi di Tokyo, nello stesso stadio i due hanno disputato un Mondiale ben al di sotto del loro talento. Il velocista è pronto a lasciare, il saltatore in alto dà appuntamento a tutti un'altra volta
Sulla stessa pista che li aveva resi grandi, in un abbraccio tra due ori olimpici rimasto nella storia dello sport italiano, Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi hanno conosciuto anche l’amarezza di un risultato ampiamente al di sotto della loro fama. A Tokyo si è chiuso un cerchio durato quattro anni, e questa è una riflessione fin troppo facile. Quel che desta impressione, al termine di una domenica di atletica che ha avuto il sapore della fine di un’epoca, è la direzione diversa che i due eroi azzurri hanno intrapreso. Marcell e Gianmarco si passano soltanto due anni: classe 1994 il velocista, 1992 il saltatore. Eppure, nello scoramento provocato dalla delusione, quello più logoro è parso il più giovane.
“La testa mi sta dicendo che non riesce a continuare a reggere tutte queste delusioni. Non si può vivere nel passato, sono stato il primo che si è goduto le Olimpiadi i primi due mesi, ma poi si è rimesso subito in gioco. La parte più difficile per me è di vivere da atleta 24 ore su 24 e poi non vedere i risultati. Mi sento pesante, non fluido, non più quello di una volta”, ha ammesso con una sincerità e una brutalità difficile da rintracciare in un atleta che è stato capace di issarsi sul tetto del mondo in una gara che noi italiani abbiamo per anni osservato da lontano, come una cometa, un oggetto sacro, una sfida al mondo che ci vedeva esclusi per diritto divino. Tra il 9”80 del 2021 e il 10”16 di ieri passa un’eternità, non solo in termini di giorni, mesi e anni, ma anche a livello meramente cronometrico. Jacobs ha dimostrato di averlo capito, le sue parole lasciano aperto anche lo scenario della prosecuzione della carriera (“Il terzo europeo di fila potrebbe essere buono, ma è difficile ogni volta rincorrere le stagioni e gli infortuni”), ma l’impressione è che la sua sia una stanchezza insormontabile, non solo fisica ma anche e soprattutto mentale. “Un tempo così non lo facevo nemmeno quando facevo salto in lungo”, ha aggiunto, quasi a voler ribadire che il meglio è alle spalle e non c’è modo di vederlo tornare. A onor di Jacobs, è doveroso ricordare che la sua non è stata l’avventura di un’estate: oro nei 100 metri in due Europei consecutivi (2022 e 2024), capace comunque di ripresentarsi in finale olimpica a Parigi sempre nel 2024 stampando un 9”85 in una gara di livello strabiliante. Se effettivamente sceglierà di dire basta, lo avrà fatto dopo aver dato tutto.
Gianmarco Tamberi ha invece optato per una reazione del tutto diversa. Si è presentato in Giappone nonostante una stagione lontanissima dai suoi livelli, ha pensato e creduto che la classe potesse essere riaccesa con un battito di mani, magari quello ritmato del pubblico di Tokyo. La realtà ha detto altro, eliminato in semifinale al secondo salto, due metri e 21 centimetri di amarezza. “Avrei voluto una quarta prova per provarci. Le sensazioni erano buone ma ho fatto un risultato pietoso. Mi sono presentato in condizioni tutt’altro che buone, ma sapevo di poter saltare oltre i 2 metri e 30, altrimenti non avrei lasciato in Italia la mia bambina di 20 giorni. Mi sento uno schifo”, ha detto, aggiungendo però tutta la sua voglia di rilanciare: “Avrei voluto avere un quarto salto per provarci ancora. So che i bassi possono servire per ripartire, anche se questo risultato mi fa male. L’anno scorso non avevo voglia di andare avanti, ora utilizzerò questa rabbia per continuare, non vedo l’ora di ricominciare la preparazione”. Rientra tutto nel personaggio, che aveva lasciato in bilico il suo futuro salvo annunciare, dal palco del Festival di Sanremo, la sua intenzione di andare avanti fino a Los Angeles 2028. Una mossa pienamente in linea con il suo profilo mediatico, così diverso non solo da quello di Jacobs ma di quasi tutti i suoi colleghi. Forse per questo è così strano averli visti felici e tristi nello stesso posto, solo quattro anni più tardi.