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La proposta

Solo un trauma calcistico può far demonizzare Hamas: non giocare contro Israele e uscire dai Mondiali

Andrea Minuz

Bisogna boicottare la partita di ritorno: sconfitta a tavolino, tre punti agli avversari e Medaglia d’oro della Resistenza al Coni. E’ qui che l’eroica ritirata potrebbe forse avere una funzione catartica

Nel 1982, la Nazionale campione del mondo in Spagna dedicò la vittoria al popolo palestinese – o almeno così si crede per via di un viaggio di Pertini a Beirut, subito dopo i Mondiali. Il gesto non fu capito fino in fondo. Alcuni palestinesi estremisti che forse seguivano poco il calcio ringraziarono con un attentato alla Sinagoga di Roma neanche due mesi dopo (37 feriti e un morto, Stefano Gaj Taché, di anni 2). Ma era tanto tempo fa. Ora si chiede di nuovo agli azzurri un segno a favore della causa palestinese. Bisogna boicottare la partita di ritorno con Israele. Bisogna prendere una posizione chiara e netta: massima visibilità e minimo sforzo, come il cinema italiano a Venezia. Stavolta potrebbe essere una buona idea. Io dico: facciamolo. Diamo retta ai ProPal, ai marinai della Flotilla, al sindaco di Bari, a quello di Udine, all’associazione allenatori, a Francesca Albanese, a Riccardo Cucchi che per protesta non ha visto l’andata e s’è perso nove gol.

 

Diamo retta a tutti quei pezzi d’Italia che non vogliono giocare con Israele. Lo si faccia però con stile: stadio vuoto, silenzio irreale. Gattuso che entra al “Friuli” con gli occhioni lucidi come Toni Servillo, arriva a metà campo, legge un comunicato sulla “solidarietà”, gli “imperativi morali”, “lo sport che non può chiudere gli occhi di fronte a” eccetera. Sconfitta a tavolino, tre punti a Israele, Medaglia d’oro della Resistenza al Coni e un “Campioni del mondo!” in prima sul “Manifesto” con foto delle macerie di Gaza. Scegliamo il brivido del rischio. Perché con tre punti regalati la qualificazione diventa quasi impossibile. Se Israele resta in gioco magari usciamo noi. Terzo Mondiale a vuoto. Siamo pronti per reggere una cosa del genere? E’ qui signori che si misura la forza di una causa. E’ qui che l’eroica ritirata potrebbe forse avere un qualche valore pedagogico. Una funzione catartica e terapeutica.

 

Nel climax del #MeToo ogni maschio bianco era diventato un potenziale stupratore, ora anche nelle migliori famiglie tutti gli ebrei sono assassini assetati di sangue innocente, secondo un evergreen antisemita riportato in grande spolvero da Hamas (uno dei suoi tanti obiettivi raggiunti). Sono cose ormai “incontrovertibili”, “conclamate”. Chi le nega è “complice”. Come si fa a portare l’opinione pubblica a odiare Hamas almeno un terzo di quanto odia Israele (che sarebbe già qualcosina)? Forse solo un trauma calcistico collettivo può arrivare a tanto. Forse ci vuole questo sacrificio massimo della Nazionale. Perché una cosa è twittare #FreePalestine con lo Spritz in mano aspettando che salpi la Flotilla. Altra è spiegare a giugno a tuo figlio che l’Italia non giocherà ai Mondiali perché “dobbiamo sostenere la resistenza”. Qui la faccenda si fa seria. Qui inizierebbe la vera educazione popolare. La crisi di coscienza nazionale.

 

 

Dopo aver visto tutti i nostri vicini europei scendere in campo mentre a noi restano il “beau geste” e “Techetechete’”, l’opinione pubblica potrebbe vacillare. Confidiamo in un effetto boomerang del boicottaggio: usare l’unica passione veramente trasversale del paese come strumento di disintossicazione ideologica per seminare almeno qualche dubbio. Legata al secondo Mondiale bucato di fila, la causa di Hamas perderebbe un po’ di quel fascino rivoluzionario benedetto a suo tempo da Michela Murgia. E’ il grande potere del calcio. Sfruttiamolo. Raccogliamo le firme. Protestiamo. Lasciamo questi tre punti per fermare il genocidio e vediamo come va.

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