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il foglio sportivo

Quanto sale questa Vuelta

Giovanni Battistuzzi

La Vuelta inizia dall'Italia, dalla reggia di Venaria. Tre tappe (e qualche decina di chilometri) in Piemonte per una corsa che vuole lasciarsi alle spalle il Giro

Non ci sarà la maestosa bellezza del Tour de France italiano e quelle tre tappe capaci di racchiudere, almeno in parte, tanto del meglio del ciclismo appenninico. E non ci sarà nemmeno il fascino, complesso e ondulato della tre giorni piemontese che ha dato il via al Giro d’Italia 2024, quella che segnò l’inizio della lunga solitudine rosa di Tadej Pogacar. Però, nonostante tutto, la Vuelta che parte in Italia è un’occasione in più, tre giorni (e un po’) buoni per vedere il Piemonte e poter osservare da bordo strada quella che un tempo era la terza corsa a tappe per importanza e che da un po’ di anni rivaleggia con il Giro (e forse l’ha già battuto allo sprint) per la seconda posizione, dietro al Tour, nell’immaginario collettivo ciclistico.

 

Probabilmente però non ci ricorderemo tra qualche decennio di quei giorni italiani della Vuelta 2025. A vedere l’altimetria e la topografia delle tre tappe d’avvio prevale un sentimento di rassegnata delusione, un “tutto qui?”, sussurrato con una certa stanchezza, la sensazione di avere davanti un collage mal realizzato di vecchie pagine a pedali scelte per giunta tra le meno belle. Però forse è un bene. Perché c’è spazio, e tanto, per lo stupore. Perché magari a Novara (sede d’arrivo della prima tappa) non assisteremo solo a una gita prima della volata; perché magari la salita che porta a Limone Piemonte non sarà solo una lunga attesa per sapere chi tra gli uomini di classifica festeggerà in una volatina tra pochi; perché magari verso Ceres qualche coraggioso vorrà sfruttare le insidie a metà percorso per offrirsi quelle possibilità che altrimenti la rampa finale che porta in paese non potrà mai concedere.

 

Va detto che tutto il percorso della Vuelta 2025 e non solo le tre tappe italiane, sembra un collage mal realizzato. Un’immagine con troppe salite messa una vicina all’altra con la speranza che l’abbondanza di metri di dislivello possa essere garantire quello spettacolo ciclistico che in questi anni la corsa a tappe spagnola è riuscita a offrire. Dieci arrivi in salita (e mezzo, perché per arrivare al traguardo di Ceres la strada sale a lungo, ma senza mai farsi troppo tosta) in ventuno tappe sono una inutile ridondanza della quale non si sentiva davvero l’esigenza.

 

Ad animare questo eccesso di chilometri ascendenti ci saranno come sempre i corridori. E di buoni in corsa ce ne sono parecchi. A partire da Jonas Vingegaard. Il danese ha una gran voglia di togliersi di dosso il ricordo di un Tour de France nel quale non è mai riuscito a staccare Tadej Pogacar e di tornare a primeggiare in una grande corsa a tappe dopo due anni complicati e balenghi, durante i quali, anche a causa di una orribile caduta, ha perso la ruota dello sloveno.

 

A cercare di rovinargli i piani ci saranno soprattutto João Almeida e Juan Ayuso, compagni di squadra alla UAE. Compagni però che non si vogliono granché bene, nonostante dicano e giurino che tra loro gli screzi sono finiti da tempo e che ora tutto fila liscio. Sarà. Ma Almeida quello che ha ottenuto se l’è costruito con fatica, cattiveria e fiducia in sé stesso, Ayuso invece ha vissuto per anni della convinzione totalizzante  di avere in corpo un talento induraniano. E chi un ruolo di prestigio lo strappa a forza di pedalate di solito non lo lascia a un fighetto baciato dalla grazia.

 

E a osservare da vicino, o almeno così sperano loro, cosa accadrà al favorito e ai due più noti rivali, ci sono un po’ di corridori che di fare presenza non hanno granché voglia. A partire da Giulio Ciccone, Felix Gall, Derek Gee e Antonio Tiberi. E Giulio Pellizzari, che ora che sa che il prossimo in squadra troverà Remco Evenepoel vuole ricordare ai suoi datori di lavoro che lui alla Red Bull non c’è andato per fare il gregario.

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